Un’ala piccola in grado di garantire punti e rimbalzi unita una gestione della palla tipica del playmaker. No, non è l’identikit di un fanta giocatore ma più semplicemente il ritratto di Leo Rautins, icona del basket canadese di origine lituana, ammirato in Italia per un paio di stagioni a Roma e Verona, con tanto di coppa Korac messa in bacheca all’ombra del Colosseo.
Nazionale canadese a soli 16 anni, un record per la selezione nordamericana, iniziò la sua carriera alla University of Minnesota dove si segnalò quale miglior rookie del Big 10 con 8,3 punti e 4,1 rimbalzi per gara, il tutto condito da 3,9 assist, specialità nella quale era secondo solo al “sophomore” Earvin Magic Johnson. Trasferitosi alla Syracuse University dopo il primo anno, Leo divenne una bandiera del prestigioso ateneo newyorkese, che vanta fra i suoi prodotti migliori, campioni del calibro di Carmelo Anthony e Rony Seikaly, ma anche gli “italiani” Rudy Hackett (papà di Daniel), Roosevelt Bouie, Wendell Alexis e Rafael Addison.
Con la diciassettesima chiamata assoluta si accasò ai Philadelphia 76ers (primo giocatore canadese ad essere scelto al primo giro) dove giocò 28 gare prima di vivere una brevissima parentesi agli Atlanta Hawks. Non riuscì a vivere l’NBA per come avrebbe potuto, anche a causa di un infortunio al ginocchio che lo avrebbe poi perseguitato per tutta la carriera, conclusasi dopo sette stagioni spese in Europa, dopo la quattordicesima operazione chirurgica subita.
Una carriera brillante che avrebbe potuto regalare ancora più soddisfazioni se non fosse stato per quel ginocchio malandato, rimpianti?
“Nessun rimpianto. Purtroppo ho avuto tanti infortuni, soprattutto con il mio ginocchio. Sono felice di aver giocato fino quando ho potuto. Alcune cose sono fuori dal nostro controllo e per me questa incognita è stata rappresentata dagli infortuni. Comunque, ho fatto così tanto grazie al basket che ho solo ricordi meravigliosi delle esperienze vissute”.
Solo due stagioni in Italia ma a Roma formò una delle migliori coppie straniere con Bruce Flowers e arrivò un trofeo importante come la coppa Korac, che ricordi conserva di quella stagione?
“Ho apprezzato molto l’anno vissuto a Roma. Fu una buona stagione, vincemmo il torneo pre campionato in Valtellina, raggiungemmo la semifinale della Coppa Italia prima di perdere la gara di ritorno a Milano (“eh, gli arbitri”…e ride), battemmo la Virtus Bologna al primo turno dei playoff e fui proprio io a realizzare il tiro della vittoria che chiuse la serie; poi, naturalmente, il ricordo più bello, la vittoria della coppa Korac contro Caserta e Oscar! Quello che non sapevo era il fatto di aver giocato l’ultimo mese della stagione regolare e i playoff con un infortunio al tendine del piede. Ho giocato cercando di non sentire il dolore per poi scoprire solo al mio ritorno a casa quanto grave fosse la situazione. L’intervento chirurgico che ne seguì mi impedì di tornare in campo per lungo tempo, facendomi perdere quasi metà della stagione successiva (con Verona debuttò solo all’ultima giornata del girone d’andata al posto di Scott Meents ndr).
Roma era una città incredibile in cui vivere, i miei compagni erano fantastici; Polesello, Gilardi, Sbarra, Valenti, Solfrini, Melillo, li ricordo tutti con affetto. Flowers fu una grande scelta, ci completavamo magnificamente. Era un gruppo unito, mi mancano le cene insieme così come i momenti in cui cercavamo di sopravvivere ai lunghi allenamenti di Mario De Sisti (ride di nuovo).
Allo stesso modo ho apprezzato la stagione vissuta a Verona dove segnai un sacco di punti anche se la nostra squadra non era fortissima. I fratelli Mario e Giuseppe Vicenzi erano grandi proprietari e amavano la loro squadra e poi adoravo i loro biscotti (e spende ancora un sorriso per questo dolce ricordo). Vedo ancora spesso Jay Bilas, l’altro americano di quella squadra. Silvio Bertacchi per me fu un allenatore eccellente, sono contento di aver giocato per lui, purtroppo non c’era sufficiente talento per vincere più partite e la stagione si chiuse con la retrocessione ma, come a Roma, ho amato quella squadra di cui ricordo, fra gli altri, Andrea Blasi, Diego Arrigoni, Giovanni Noli e Roberto Della Valle. Mi è dispiaciuto molto apprendere della morte di Blasi, era una persona piacevole, così come mi ha colpito la notizia della morte di Mario Vicenzi, mi ha trattato come uno di famiglia e gliene sarò sempre grato”.
Quanto è servita l’esperienza vissuta da giocatore quando era alla guida della Nazionale canadese?
“Penso che sia molto importante ricordare le sensazioni provate da giocatore quando ci sono decisioni da prendere come coach. L’esperienza del campo è uno strumento molto prezioso per un allenatore cosi come anche l’aver avuto grandi allenatori dei quali ho potuto osservare pregi e difetti, riuscendo a sviluppare idee e strategie che mi sono state utili nel mio lavoro in panchina”.
Ora è un affermato commentatore per i Toronto Raptors, quali sono le loro possibilità quest’anno?
“Toronto ha fatto uno scambio importante a metà stagione cedendo Rudy Gay (ai Kings ndr) e portando a casa quattro solidi giocatori in grado di farli diventare davvero un buon team. A livello difensivo sono una delle migliori squadre della NBA e anche in attacco fanno circolare bene la palla, giocano di squadra; se continuano così saranno in grado di finire la stagione regolare al terzo o quarto posto avendo poi il vantaggio del campo nel primo turno dei playoff; potrebbero passare il turno ma molto dipende anche dall’avversaria che si troveranno davanti. Ora come ora incontrerebbero Washington, Brooklyn o Chicago con quest’ultime due dotate di grande esperienza a livello di playoff. La chiave, per tutte le squadre, sarà quella di arrivare in forma alla post season, i Raptors hanno avuto un’ottima stagione finora e avranno bisogno di rimanere al top della forma fisica per poter chiudere alla grande”.
Suo figlio Andrew ha seguito le orme paterne e, dopo una parentesi NBA, ora gioca in Europa, in Germania: per le ottime cifre espresse a Francoforte, non ritiene che si meriti un campionato di livello superiore?
“Andy ha giocato molto bene a Francoforte e penso che abbia dimostrato di poter stare in una squadra di valore in Eurolega o NBA. Purtroppo, dopo Natale, è scivolato sul parquet durante una partita infortunandosi alla caviglia e dovrà operarsi a fine stagione. Andrà tutto bene ma starà fuori per tre mesi e Francoforte, che era al sesto posto con una squadra molto giovane, non ha più vinto una partita da quando lui si è fatto male perdendone sette in fila.
Andy è un grande tiratore, ama difendere e gioca per la squadra, è un leader. Speriamo che le sue qualità e il suo gioco siano stati uno spot utile a guadagnarsi una chiamata da una squadra più forte nella prossima stagione, ha già molti club che lo stanno seguendo con interesse”.