Una trilogia di Natale per raccontare, della città che rappresenta il cuore del Gioco, il nerbo: le point-guards di New York City.
Come dice un libro splendido, di cui ho già invitato alla lettura (The City Game), il basket è appunto un gioco di città, si associa ai grattacieli come il football ai campi di mais. Se NY sopravvive ai venti anni and counting della proprietà di James Dolan, che sta devastando i Knicks, è anche perché la sua tradizione cestistica poggia solo in parte sulla NBA e sul gioco “regolare”. Molto più spazio e tradizione hanno le High School e il playground, e un posto speciale occupano le point-guards. Dal racconto ho escluso molti nomi scolpiti nel cielo: Connie Hawkins, Lenny Wilkens, ed altri; ho incluso alcuni solo per amore personale, e troverete chi non risponde al concetto di “pg pura” perchè non di quello si tratta, ma appunto di “pura NYC pg”.
Nella prima parte le NYPG che ho amato incondizionatamente.
RAFER ALSTON. Jamaica, Queens. Siamo nel puro sentimento, nel loop dei ricordi. Primi anni 2000, i video erano ancora su CD, per un collegamento on line degno era meglio andare in un internet cafè o nella sala computer dell’Università invece che provarci da casa. Il video cui mi riferisco è facile da trovare, è stato rieditato per YouTube con una qualità che allora non aveva. Rafer: puro hip-hop, irrisione, maschio alfa. Un palleggio non era tale se non restava in mano per almeno un secondo, se non era accompagnato, se rimbalzava senza prenderti per il culo. Un passaggio non aveva molto senso se era dritto guardando l’uomo designato: meglio dietro la testa, dietro le spalle, guardare il tuo uomo è sintomo di debolezza. Più avanti ebbe in mano i Rockets che arrivarono a perdere 4-3 vs i Lakers futuri Campioni 2009. Strada in discesa: vinsero le Finals a 1 (Magic), le Conference Finals a 2 (Nuggets), il vero rischio prima, vs Houston alla settima. Trovate Vujacic che viene irriso e poi gli fa fallo e poi ne cerca il sangue; oppure Matt Barnes e Steve Nash che non sanno se due bastano contro di lui. Un uomo che ho desiderato ardentemente essere, Rafer Alston. Il suo nick, Skip To My Lou, si riferisce a un ballo da sala tradizionale, quello in cui i cow-boys e le donzelle piroettano cambiando compagno di ballo ad ogni giro. Può ovviamente essere interpretato in maniera maliziosa, e qui giunge Rafer.
WORLD B. FREE. Lui non è nato a NY, ma è diventato cittadino perché ha giocato alla Canarsie High School di Brooklyn. Passaporto, timbro, accolto. Uomo cui dare la squadra in mano, se la squadra era debole: questo il destino di uno che ha giocato, dopo un eccellente triennio a Philadelphia, sia nei Clippers che nei Cavs a cavallo tra 70’s e 80’s: il fondo del fondo della NBA. Un uomo che ha tenuto in vita le franchigie perché, molto semplicemente, i tifosi compravano il biglietto per vedere lui. Il nome di battesimo era Lloyd Bernard, cambiato in World B. per dare la dimensione di sé stesso e di ciò che desiderava per l’umanità: che il mondo fosse libero. Genio puro. Tirava in tutti i modi, ma in particolare da dietro la testa, e sotto di 40 accettava di giocare ad HORSE con il pubblico: gli dicevi che tiro volevi facesse, lui eseguiva.
TINY ARCHIBALD. New York native. Poco da dire: unico, ripeto UNICO giocatore nella storia del Gioco a capeggiare nella stessa stagione sia la classifica dei punti che quella degli assists (era il 1973 terzo anno pro). Non si ricorda un difensore capace di fermarlo nemmeno a Rucker Park. Ovviamente era voce e speranza di tutti i piccoletti. Impossibile non cadessi innamorato di lui nelle primissime rarissime immagini NBA che iniziarono ad arrivare in Italia tra fine 70’s ed inizio 80’s, reso poi immortale dagli aneddoti di Dan Peterson.
STEVE BURTT SR. Viene da Harlem, carattere chiuso, difficile, facilissimo desiderare di prenderlo a pugni, facilissimo che ti prendesse a pugni nonché trovarlo con qualche polvere nelle tasche. Unico che ho visto giocare dal vivo. A fine carriera fu anche ad Imola, ma gli anni più eclatanti furono tra 1994 e 1996, quando per Trieste e Venezia metteva insieme stagioni da 29.9 e 31.1 di media. Nel ’96 segnò 41 quasi tutti nel secondo tempo per Venezia aiutando la Reyer a rimontare Rimini da meno 18 nella finale per accedere alla A1. Tiratore dal movimento compatto, faccia impassibile: l’avversario si poteva trovare colpito con la stessa facilità da una tripla o da un pugno in bocca; appunto: movimento compatto, faccia impassibile. Ma era un esempio tecnico impagabile, e tanto era essenziale nel jumper quanto barocco in penetrazione: esitazioni, piroette, finte fintine controfinte. Unico giocatore nella storia ad essere bandito per sempre e per ogni mansione (coach, preparatore ecc) dalla Lega Greca, motivo: continue (cioè han provato a perdonarlo più di una volta) violazioni della politica anti-droga.
KEMBA WALKER. Bronx. Lui potrebbe essere un buon esempio di Conte di Montecristo. Ingiustamente imprigionato per lunghi anni nella desolazione di Charlotte, ora ha il palcoscenico che merita a Boston. Il più solare, tra le NYPG della trilogia. Ho imparato ad amarlo proprio per la sua irreale capacità di sobbarcarsi il peso di quella franchigia quasi inutile, restando sempre positivo, impegnato al massimo, sorridente, trascinatore e compagno di squadra ideale. Step-back da accendere candele votive, sia per apprezzamento sia se siete suoi avversari.
GOD SHAMMGOD. Harlem. Il nome è la cosa meno importante: basti sapere che lui voleva anche cambiarlo, ma costava 600 dollari che non aveva. Era il 1995, e doveva registrarsi a Providence University. Non è apparso quasi mai nella NBA perché, semplicemente, aveva altro da fare. Per esempio inventare il crossover più irrispettoso: quello in cui mollate la palla con una mano per riprenderla con la mano opposta. Fate ingolosire un attimo il difensore e lo salutate dall’altra parte: godimento puro. Lui era il ragazzino che fin da quando era più piccolo del pallone stava tutto il giorno al campetto. Gli scouts NBA che questionavano il suo tiro da fuori, l’altezza, l’intensità della difesa…patetici passacarte, senza nulla a che fare col Gioco. Era già un professore ed un ambasciatore. Infatti ha giocato ovunque, leghe minori USA, Cina, Arabia, Polonia, Croazia, ed è responsabile ora del Players Development dei Mavs: insegna a giocare a Luka Doncic, per capirci. Alla High School di LaSalle Academy si trovarono insieme lui e Ron Artest: la NBA non è tutto, a NY.