Artisti dispersi distrutti salvati.
Gli irregolari hanno storie simili, posti e sentieri simili: vedrete quante volte appariranno le due Carolina, per esempio. Quante volte la droga e quante volte il loro attaccamento al basket di cemento. Solo uno di questi ultimi cinque ha vissuto un po’ di NBA, perché approdare nella Associazione non è garanzia di salvezza, ma di certo è un bel passo verso una vita lunga e non troppo tribolata. Criminali ed ex criminali, tossici ed ex tossici, mai a posto. Non ribelli, non nel senso poetico che a volte accompagna la parola: cocciuti piuttosto, duri come la vita che li attendeva, non riuscivano a credere esistesse altro orizzonte ed erano orgogliosi fino all’autolesionismo. Tre sono ancora vivi.
EARL MANIGAULT. Nato in South Carolina, ma adottato a pieno titolo da Harlem. Il migliore di tutti. The GOAT. Lo sanciscono Julius Erving e Kareem Abdul Jabbar. Per me è suff, dovrebbe esserlo per tutti. Vita poi dedicata al recupero e alla motivazione dei giovani che, come lui, correvano sul filo del talento senza esserne salvati. Vita raddrizzata, ma non è un giudizio di qualità né moralistico, dopo essersi persa tra droga (consumata) e prigione. Il racconto, dalla sua voce che ha lo stesso timbro roco, dolce e lontano che hanno tutte le voci degli ex tossici, di come non riuscisse a stare lontano dal campo rettangolare coi canestri, di come era troppo grande l’amore e l’abitudine all’amore nei confronti del Gioco, di come palleggiando ogni rimbalzo lo uccideva, ricordandogli tutto quello che aveva perso…quel racconto: ti strappa il cuore. Il più grande di tutti noi è morto nel 1998, di maggio. Quando, secondo De Andrè, per crepare ci vuole più coraggio.
LLOYD DANIELS. Queens. Nick: SweePee perché uguale a Pisellino di Braccio di Ferro. Non proprio una pg ma un giocatore universale (201 cm) che poteva spezzarti con un assist o da post basso, indifferente alla tua abilità difensiva, alla tua altezza o stazza. Non gliene fregava nulla. Di troppe cose, però, gli importava poco. Tanta droga, tante riabilitazioni mentite o fallite. Lo davano, in un’epoca (1985-88) in cui era figo cercare il nuovo Magic, come The Next. E come il più forte giocatore di NY dopo, ovvio, Alcindor/Jabbar. Fu preso in carico da Jerry Tarkanian, poco regolare coach di UNLV, l’università, con sede a Las Vegas, che dava il benvenuto a tutti gli scapestrati di talento: preso in carico significa che Tarkanian rese uno dei suoi vice il tutore legale di Lloyd. Che però si fece beccare a comprare crack: il venditore era un poliziotto undercover. Niente UNLV, e dal 1988 al 1992 giocò nelle minors, fino alla chance concessa dagli Spurs pre-Pop. Ad Alamo fino al ’94, poi apparizioni NBA intervallate da Europa (in Italia Scavolini e Scafati), altre minors USA, Cina e le immancabili Panteras de Miranda, squadra venezuelana che sarebbe interessante vivere, dal momento che ci han giocato quasi tutti i grandi incontrollabili del globo. Quello che impressiona, e rimanda al potere taumaturgico del Gioco, è il numero di squadre in cui ha giocato nella sua carriera pro ufficiale: 1987-2006, 31 formazioni. Loro, i dispersi, i ripigliati per i capelli…è evidente: stanno bene e in pace solo tra le due retine.
ANTHONY HEYWARD. Bed Stuyvesant. Di solito si dice di un maratoneta keniota: “dovrebbe” avere 28 anni, perché le date di nascita sono spesso molto diverse da quelle di registrazione anagrafica del pupo. Lo si dice anche di Anthony Heyward: è nei suoi tardi 40. Diciamo 48 anni, e gioca ancora. Una carriera tutta da campetto, che lascio descrivere alle sue parole. “Faccio prima a contare i tornei in cui NON gioco, con la mia squadra, i Buckwild: li faccio tutti, Rucker, Hoops in the Sun al Bronx, il West 4th…ah, e alleno anche una squadra (femminile…, ndr), senza contare quando mi fermo a giocare per la bellezza del Gioco, e per qualche biglietto da 20”. Non è la vita più desiderabile del mondo? Per me sì. Il suo nick è HMHA, ovvero Half Man Half Amazing: da quando saltò, prima che lo facesse Vincredible Carter, un uomo molto più grosso e alto schiacciandogli sopra…passandogli sopra.
JACKIE JACKSON. Soprannome: Jumpin’. Non nativo, ma la famiglia si trasferì nel Queens dal North Carolina quando lui era un infante. Se, e solo SE, ci mettevi dei soldi sopra, lui ti faceva vedere che toccava con il palmo pieno la parte superiore del tabellone. La cosa è confermata da tutti i giocatori del Rucker negli anni ’60. Fra l’altro: avesse perso, di certo non aveva il venti da darvi. JJJ ha avuto 20 anni di basket pro: negli Harlem Globetrotters, che, parole sue, gli han salvato la vita. Era 193 cm, ma non potevi sapere in che momento ti sarebbe decollato sulla testa. Inoltre, essendo un Harlem, non era certo il controllo di palla che gli mancava. E’ morto da pochissimo, il 4 maggio 2019: aveva quindi 79 anni, e se cominciate a prendere confidenza con le vite di questi signori, saprete che il vero record è questo.
PEE WEE KIRKLAND. Manhattan. Nei mid 60’s per i neri di NY era più facile trovare borse di studio in college piccolini del Sud o del Midwest che a casa o sull’altra costa: ecco perché PWK trascorse la sua carriera collegiale in North Carolina. Fu scelto dai Bulls nel 1969. Declinò l’offerta: troppo bassa, guadagnava molto MOLTO di più col suo lavoro di trafficante di droga. O di…vettore di compagnia femminile. PeeWee diceva: “ci sono tre cose per cui sono davvero tagliato: gli affari, il basket, e…ok se volete capire, avete capito”. Quasi un borghesuccio, rispetto ad altri di questa trilogia, perché è sempre stato dalla parte più sicura della droga: quella di chi vende. La sua dialettica, e la sua pericolosità, non gli impedirono un paio di passaggi in prigione, l’ultimo terminato nel 1988. Nel periodo di galera non smise col basket: titolare fisso della prigione federale di LaTuna, in un torneo in Pennsyllvania segnò 135 in semifinale e 100 in finale. Ora fa il motivatore anche lui, ed è apparso in molti video musicali o film di argomento cestistico, come il famosissimo Above The Rim.
HERMAN KNOWINGS. Harlem. Nick: Helicopter. Altezza: 193 cm. Morì a 37 anni in un incidente stradale. Siamo sulle stesse note e negli stessi anni di Jumpin’ Jackie, con differente carattere. Herman l’Elicottero era un vero predicatore della vita di strada e del basket di strada. Uno che godeva ad umiliare gli NBA’s che arrivavano a giocare a Rucker. Si ricordano due stoppate, una a Wilt Chamberlain, una a Willis Reed: si tratta di racconti, ma non li bollerei come falsi a prescindere. Wilt lo definì “il più forte giocatore del mondo a non aver mai giocato nella NBA”. Herman non si curava di queste cose, ma ringraziandolo gli avrebbe anche risposto: io con voi fighetti non mi ci metto neppure, e poi è pieno di bianchi. Mi piace terminare la trilogia di Natale con il meno certificato e testimoniato di tutti i giocatori apparsi: è bello chiudere con l’alone di ciò che è leggendario, non riscontrabile prove alla mano, e quindi mitico nel senso più pieno. E’ come Babbo Natale: si tratta di scegliere se restare rigidi o affidarsi alla narrazione e lasciarsi andare. Ho trovato anche versioni di Herman da 201 cm, ma preferisco credere a quella di 193: la vostra pg che stoppa Wilt. E’ molto più bella.