Un viaggio a New York non è completo se non frequenti un evento sportivo. Il senso dello sport per gli americani è vissuto appieno ed è completamente lontano e differente da quello italiano. Se, poi, il basket fa parte costantemente della tua vita, un partita NBA è d’obbligo se ti trovi oltreoceano.
A New York City, il basket prende i colori arancioblu dei Knicks e quelli neroargento dei Brooklyn Nets. Si parte dalla 34ima strada. Entrare al Madison Square Garden produce sensazioni incredibili per chi ha la palla a spicchi nelle vene. “The most famous arena in the world” ha un fascino particolare che ti avvolge e ti lascia stordito. Quasi non riesci a capire dove ti trovi, ed entrarci per la prima volta è speciale. Sei distratto da qualsiasi cosa, dai banner che calano dal soffitto che ricordano le maglie ritirate degli eroi del passato, dalla #33 di Ewing alla #10 di Walt Frazier, per finire agli unici due anelli vinti, in un’altra era cestistica. Rimani incantato dal parquet, teatro di imprese storiche e leggendarie, dove Jordan si trovava perfettamente a suo agio e dove ha scritto pagine importanti della sua carriera.
Ti fermi a guardare il pubblico, i tanti turisti che affollano gli spalti e che non volevano perdere l’occasione, ed i tifosi appassionati colorati di arancio e di blu, con le mani occupate da hot dog e birre o dal più classico dei ditoni di gomma, quelli che servono per intimorire l’avversario e dire a chiare lettere “Not in my house”, qui non si passa. Ma, ahimé, non sarà un ditone agitato sotto le volte del Madison a fermare gli avversari di turno né tantomeno gli Orlando Magic.
Tra una distrazione e l’altra è il momento solenne dell’inno nazionale e della presentazione del quintetto base. Da brividi. Proprio come l’approccio al match degli uomini di coach Scott Fizdale. Il primo quarto dei Knicks è disastroso. Vucevic azzanna il match ed il solo Kanter non è un baluardo sufficiente. Alla fine del primo quarto i Magic sono già sul +20. Qualche alley-oop ed un paio di schiacciate esaltano il pubblico ma, di fatto non c’è partita e non ce ne sarà. Terrence Ross spinge Orlando a +25 a metà gara. Ma non ti annoi lo stesso, non puoi annoiarti. Tra l’atletismo sul parquet, lo spettacolo danzante delle cheerleaders e la dance cam, il tempo scorre piacevolmente. Non ci sono pause. È un tourbillon di eccitazione, colori, volti, musica e spettacolo. Quando il match finisce (89-115 per la franchigia della Florida), quasi ti dispiace di abbandonare il Madison. I Knicks sono inguardabili, se ci atteniamo puramente ad un aspetto cestistico. Porzingis è atteso al ritorno come un messia. Ma, se ci si trova nella Big Apple, è fortemente consigliato vivere il Madison, quello che ha rappresentato e che è in grado di offrire tutt’ora, travolgendoti di emozioni.
E per provare a riviverle, a distanza di qualche giorno, basta prendere la metropolitana in direzione Downtow e fermarsi a Brooklyn. Di scena ci sono i Nets che provano ad intralciare la strada dei Miami Heat. Si cambia scenario. Dal soffitto del Barclays Center pendono molti meno banner ma c’è comunque quello di Drazen Petrovic, che per gli europei rappresenta molto, per chi lo ha visto dal vivo o su vecchie registrazioni, a cominciare dalla storica finale di Coppa delle Coppe tra il suo Real Madrid e la nostra Juvecaserta. L’impianto è moderno, accogliente e funzionale. Manca lo charme e l’entusiasmo del Garden sia chiaro ma, a differenza dello spettacolo cestistico indecoroso di qualche giorno prima, il livello del match è già accettabile. Miami conduce sin dall’inizio, con Dragic sugli scudi, vista l’assenza di Wade per la nascita della prima figlia femmina. Whiteside si trova bene con lo sloveno ed il solo Harris può poco per i Nets. Miami trova punti anche da Adebayo e Tyler Johnson e chiude il primo quarto sopra di 16 (37-21). Carrol prova a reagire ma Olynyk giganteggia in entrambe le metà campo e Brooklyn rischia di affondare (47-26). La reazione dei padroni di casa però c’è; Dudley è on fire e consente ai suoi di avvicinarsi fino al -7, con Dinwiddie in evidenza. Un canestro del veterano Haslem e una magia di McCrueder ridanno fiato agli Heat (61-49 all’intervallo lungo). Le Brooklynettes e la Carlton Cam (che invita chi inquadrato dalle telecamere a ripetere la danza di Carlton Banks, il cugino di Willy nella celeberrima sit-com Willy, il Principe di Bel Air) risvegliano il pubblico ma, in avvio di ripresa, Josh Richardson e Witheside riprendono a marciare ed i Nets ripiombano a -18 (90-72 alla fine del terzo quarto). Miami controlla ma Napier si inserisce in qualche distrazione di troppo. Spoelstra se ne accorge e prima di eventuali danni chiama a se i suoi per parlarci su (103-90 a 5:35 dalla fine). Dragic e Johnson però mettono il punto esclamativo e fanno scorrere i titoli di coda sul match. Finisce 120-107.
‘Drago’, come lo ha ribattezzato Whiteside, paragonandolo all’Ivan cinematografico avversario di Rocky, è il migliore in campo con 21 punti e tanta leadership.
I microfoni e le telecamere sono tutte per lui: “Sapevamo che i Nets tirano molto da tre, quindi dovevamo stare attenti in difesa. La comunicazione di squadra è stata ottima e non gli abbiamo consentito di tirare troppo. Abbiamo contestato i loro tiri ed avuto un’ottima performance a rimbalzo, soprattutto con Whiteside. Venivamo da tre sconfitte consecutive e questa vittoria è importante. Abbiamo seguito i consigli di coach Spoelstra e dello staff. Quando difendiamo, quando giochiamo come sappiamo fare e siamo concentrati è tutto più semplice”.
Miami si gode Dragic e la piccola di casa Wade, mentre le notti newyorkesi lasciano l’amaro in bocca ai tifosi della Big Apple, sia a Manhattan che a Brooklyn. Ma, come detto, oltreoceano, quando le luci del Madison o del Barclays si spengono, al di là del punteggio indicato sul tabellone luminoso, si respira nell’aria ancora divertimento, spensieratezza, condivisione e passione per il basket.