Per quanto possa essere scioccante da credere, lo scorso 17 febbraio il Re ne ha fatti 60. No, stavolta non si tratta di punti realizzati ma semplicemente di anni compiuti.
L’anagrafe parla chiaro ma si tratta di un‘età difficile da accostare alla sua persona, soprattutto per chi ha trascorso decine di notti in bianco per poterlo ammirare in azione e lo ritiene, ora come allora, un forever young. Descriverlo in maniera originale senza scivolare nella retorica è un esercizio dialettico complicato, se poi se ne esaltano, per l’ennesima volta, le eccezionali doti tecniche e atletiche, allora si rischia davvero di scivolare nella banalità, così come lo si farebbe ricorrendo soltanto ai numeri che è stato capace di produrre sul campo.
E allora, per parlare di quest’icona dello sport che ha marchiato a fuoco un’epoca, valicando i confini del rettangolo di gioco per consegnarsi all’eternità, perché non ricorrere piuttosto ad aneddoti e curiosità che ne hanno accompagnato la straordinaria carriera?
Iniziamo col definire Michael Jeffrey Jordan come l’unico Re che il pianeta del basket abbia mai conosciuto, con il solo Kobe Bryant che, opinabilissimo parere di chi scrive, più di chiunque gli si è avvicinato per mentalità, atletismo, vittorie ed emozioni che è stato in grado di scatenare. Ma eravate a conoscenza che il 22 novembre 2016 a questo brand in carne ed ossa fu conferita la medaglia presidenziale della libertà dal Presidente Barack Obama? Per chi non lo sapesse, si tratta di una delle due massime onorificenze degli Stati Uniti, un privilegio concesso a coloro che forniscono un contributo meritorio speciale per la sicurezza o per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata, una decorazione che certo non sfigura accanto ai 6 Larry O’Brien Trophy o alle 2 medaglie olimpiche vinte da “His Airness”. continua a pag. 12 di Basket Story #25
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Redazione Basket Story