Marzo, marzo è pazzo, marzo è March Madness – follia controllata o debordante, come quella del tifo per i Blue Devils di Duke e coach K, “sob, sob, sob…!!!”, quest’anno presto fuori dai giochi.
A marzo la NCAA mi prende davvero. Lo so, “eh, bella forza…”, diranno quelli che mi conoscono e sanno della mia insana passione per il college basketball.
Ma no, non è della mia passione che mi interessa parlare. Mi intriga piuttosto la capacità che la March Madness ha di catalizzare l’attenzione. In fondo, anche se sfrutta il non indifferente vantaggio che negli States si tifa molto più per il college in cui si è studiato che non per la squadra NBA “del cuore”, cos’è la March Madness se non uno straordinario esempio di marketing, in cui un evento… “minore” – mi scuso per il sacrilego aggettivo, ma il college basketball non muove di certo i capitali della NBA, riesce a vincere la concorrenza, in termini di interesse di media e tifosi, di tutto e tutti??? Ed allora, può essere la March Madness un esempio per il nostro malandato mondo-arancia nel suo improbo compito di conquistarsi una piccola fetta del seguito del “Dio Pallone”…???
Risposte che ovviamente “soffia(no) nel vento”, a cui nessuno, men che meno il sottoscritto, è in grado di rispondere.
Un unico, enorme dubbio però mi sovviene… ma un movimento che non è evidentemente in grado di spedire in quintetto per l’All Star Game di Gold&Silver, dico Gold e Silver e non Lega A, nessuno dei “golden boy” vincitori la scorsa estate del titolo europeo Under 20… può poi davvero essere capace di vendere un’immagine fresca ed innovativa di se stesso, non dico pari, ma almeno lontanamente comparabile a quella, zeppa di energia ed entusiasmo, che la March Madness ci invia…???