Continuiamo ad esplorare la NBA con la posizione 12 del nostro Power Ranking.
EASTERN CONFERENCE #12: NEW YORK KNICKS. La partenza di Melo era inevitabile, ormai, anche se il suo principale avversario nei Knicks, ovvero il plenipotenziario Phil Jackson, aveva salutato prima di lui la baracca. Quello che respira di più, senza le due ingombrantissime figure intorno, è coach Hornacek. Ora potrà far giocare i Knicks come vuole lui, libero dalla triangle offense e agevolato da una squadra molto giovane e pronta a correre, come facevano i suoi Suns di 3 e 4 anni orsono. La contropartita ricevuta in cambio di Carmelo non è stata eccezionale, e potrebbe creare qualche equivoco nelle rotazioni dei lunghi e in genere nel gioco di NY. Il pezzo più pregiato è stato infatti Enes Kanter, un lungo e uno che, d’abitudine, tira tutto quel che gli capita in mano. Va ad inserirsi in un reparto che annovera già Porzingis (franchise player ora), Noah, O’Quinn, Willy Hernangomez e Luke Kornet: in questo panorama creerà di certo ansie al minutaggio di O’Quinn e dello Spagnolo, inciderà sul processo di crescita di Willy, senza contare che, con la contemporanea presenza in campo di Porzingis e Kanter, ci sarà bisogno di 2 se non 3 palloni per soddisfare le richieste di tutti. Con 6 omoni, per quanto non tutti dalle simili caratteristiche, respiro già aria di trade per qualcuno. Il centrocampo, invece è un regno incerto: playing the point spetterà infatti o al rookie francese Ntikilina, o all’eroe da playground (uno dei nostri preferiti, lo ammettiamo) Jarrett Jack, o all’ordinato Ramon Sessions, reincarnatosi a NY per la sua quinta squadra in cinque anni; in sg il talento pare esserci, anche se si dovrà scegliere ogni volta tra la difesa dell’undrafted 2016 Ron Baker, l’attacco di Tim figlio di Tim (Hardaway) e la doppia dimensione di Courtney Lee, che però non è un talento stratosferico. Differenti stili e personalità anche in ala, tra il Lituano Kuzminskas (che pare godere di una predilezione da parte di Hornacek), il pazzoide talentuosissimo Mike Beasley (fino a che non combinerà qualcuna delle sue, non escludendo mai un pernottamento in prigione), il gregarione Lance Thomas e il tiratore McDermott, arrivato anche lui come contropartita per Anthony e che indichiamo possibile grande sorpresa nei Knicks di quest’anno. L’uomo chiave sarà ovviamente The Unicorn Porzingis, e anche coach Hornacek si gioca una considerevole fetta di carriera. Il payroll dei Knicks è 20′ nella NBA, inferiore ai 104 MM, ma nasconde qualche insidia, dal momento che il giocatore-chiave non è tra i primi 4 più pagati: Porzingis infatti è ancora dentro al suo rookie-contract, mentre ben 63 MM (ed aumenteranno) se ne vanno con gli stipendi di Kanter-Lee-Noah-Hardaway jr, nessuno dei quali andrà in scadenza prima dell’estate del 2020. La buona notizia è che anche il contratto dell’Unicorno scadrà allora, regalando una certa flessibilità salariale ai Knicks, almeno in quel momento chiave. Certo la scelta di pagare 70 MM da ora al 2021 ad Hardaway jr ci è del tutto incomprensibile. Definizione: potrebbe essere “do not disturb”; la stampa di NY è infatti la più acida e corrosiva immaginabile, in particolare contro le squadre della città (Knicks e Jets bersagli preferiti, non senza motivi, onestamente), ed anche la tifoseria non è da meno. Spike Lee per esempio è al momento “distratto” dalle proteste razziali incentrate su Colin Kaepernick, gli inginocchiamenti durante l’Inno dei giocatori di football, e tutte le rivendicazioni a questi eventi associate, ma se fosse concentrato sui Knicks sarebbe a capo di un movimento comunque critico nei confronti della fanchigia: se Melo fosse rimasto sarebbe “free Melo”, visto che se ne è andato sarebbe “hanno obbligato Melo ad andarsene”…un po’ di pace farebbe bene nell’ambiente Knicks e suoi dintorni.
WESTERN CONFERENCE #12: UTAH JAZZ. Altro tonfo non da poco durante l’estate: quello fatto echeggiare dai Jazz, che hanno perso il loro franchise player, Gordon Hayward che ha scelto i Celtics del suo ex coach a Butler U.; anche George Hill, per questioni puramente contrattuali, ha lasciato Salt Lake City per il triennale da quasi 60 MM dei Kings. Con queste partenze i Jazz hanno perso gli unici due loro giocatori che fossero tra i primi 75 della NBA per canestri non assistiti. La vicenda di Hill rende curiose alcune iniziative del Front Office dei Jazz in tema di contratti e salari. Utah, infatti, ha un payroll abbastanza alto per una franchigia che abbia perso due dei migliori e più pagati: il sedicesimo della intera NBA, nonostante questo ha scelto, per esempio, di pagare 48 MM in 4 anni a Joe Ingles. L’Australiano non è affatto un giocatore raro, se ne trovano 10 simili in una ricerca di 4 minuti, nella NBA: oltre a non essere altro che un saggio artigiano, è anche abbastanza stagionato, e non si capisce il senso di pagarlo (e non poco) fino al suo 33esimo anno. Più senso hanno i 94 MM dati a Rudy Gobert, il centro che eredita le chiavi della franchigia. Detto del payroll, veniamo al roster. Discretamente competitivo il quintetto, con Gobert e Favors nel pitturato e il sempre in miglioramento Hood e Ingles sul perimetro, gestiti dal neo arrivato Ricky Rubio, su cui nutriamo più di un dubbio. Se escludiamo il superveterano Joe Johnson (terzo tra i giocatori in attività per soldi guadagnati in carriera), la panchina, pur abbastanza profonda, non pare in grado di offrire apporto offensivo decente. In pg c’è talento, con Exum e Neto, in guardia dietro al veterano Alec Burks ci sarà spazio per il rookie Donovan Mitchell, in ala Jerebko e Sefolosha non assicurano granchè, e i centri di riserva, Bolomboy-Udoh-Bradley faranno rimpiangere i minuti di riposo concessi a Gobert. Il control game di coach Snyder limiterà molto i danni, ne siamo certi, consentendo ai Jazz di ridurre i possessi e quindi, almeno, i passivi; l’attacco sarà un problema, con Hood chiamato a confermare e continuare i progressi rivestendo per la prima volta in carriera il ruolo di prima opzione offensiva. Playoffs secondo noi impossibili, e a Utah resterà la palma di squadra più straniera della NBA: dei 15 che comporranno il roster allargato, 9 sono non USA. Definizione: calcoli da rifare.