Il protagonista di oggi è una delle speranze (la migliore e più promettente) per il futuro della Nazionale azzurra.
Sarà anche spunto per un’occhiata a chi è uscito dalla stessa alma mater nei tempi medio-recenti, a come si è comportato nel basket pro e a come lo sport faccia parte della dura realtà quotidiana.
Nico Mannion è oggetto di grande interesse da parte di tutti gli scout NBA, e la sua fama lo sta facendo salire rapidamente nei vari Mocks del prossimo NBA Draft. E’stato protagonista recentemente di un servizio monografico su ESPN da parte di uno dei grandi esperti di basket NCAA del network sportivo USA, Jonathan Givony: 10 minuti tutti per lui, intervistato sui propri punti deboli e forti in un format molto interessante, modulato come una specie di sessione tecnica video. Quando ESPN si muove così su un giocatore potete scommettere che non è fumo. D’altronde Arizona U. è diventata negli ultimi 30 anni uno degli atenei da cui con più frequenza si muovono giocatori verso la NBA e i campionati di eccellenza nel mondo. Senza andare a pescare per forza i fortissimi e famosissimi, oggi nell’Olimpia gioca (cosìcosì…) Tarczewsky, ma un altro lungo di grande impatto ha segnato il basket italiano negli anni a cavallo dei 2000: Joe Blair, dai Wildcats alla Scavolini Pesaro. Non solo lunghi: un duo capace di arrivare alla Finale NCAA componendo un back-court quasi ingiocabile è stato Damon Stoudemire + Khalid Reeves. Il secondo, in particolare, era un giocatore di culto per tutti noi umili play senza talento, anche se non ebbe una carriera NBA folgorante: tipica pg di New York, nato nel Queens, arrivò ad Arizona perché rese la vita impossibile al suo allenatore di High School pregandolo di mettere buone parole solo per le università di posti caldi (e poi la prima squadra NBA fu Miami…). Erano i primi anni ’90, tra i più gelidi a NY…ma la cosa davvero agghiacciante è che nel 2011 quel coach, Robert Oliva, è stato condannato reo confesso per aver abusato sessualmente di un alunno nel 1976. Per la stessa Christ the King High School, oltre a Reeves, han giocato Lamar Odom e Jayson Williams.
Tornando a Nico Mannion bisogna dunque notare che parte del clamore che ora lo circonda è dovuto alle qualità preparatorie riconosciute ad Arizona e al fatto che la PAC12 sia una Conference di quelle difficili, nel panorama collegiale. Il figlio di Pace, però, ci sta mettendo molto del suo. Innanzitutto non è più così mingherlino, atleticamente pur non essendo un colosso è assai migliorato. Gioca quasi 30 mins per gara, segna abbondantemente (15.3) e con buona percentuale (52.2% dal campo). Notevole il rapporto assists/palle perse, quasi a 2.5, laddove il discrimine tra un buon playmaker e uno cattivo è 2. In questo momento della stagione pare quasi certo che vorrà passare subito tra i pro, ma non sono esclusi ripensamenti: ultimamente, per quanto resti assolutamente maggioritaria, la moda dello One and Done è oggetto di riflessione. Più che il fallimento di alcuni passati troppo presto alla NBA per naufragare nella G-League (un gran peccato, personalmente, ritengo sia stata la fretta avuta da Malachi Richardson), stanno funzionando i buoni risultati ottenuti da giocatori usciti come senior e passati anche dall’Europa: per esempio Grant Williams (Celtics) con 4 anni pieni a Tennessee o Javonte Green con solido viaggio europeo (anche a Trieste) per finire pure lui a Boston. In ogni caso, almeno lo speriamo tutti, Nico Mannion sarà la pg titolare dell’Italia per parecchio tempo (e Hackett da sesto uomo, CSKA docet, è tutta un’altra storia…).