In preparazione al Draft di fine Giugno, ecco una breve rassegna della storia del Draft NBA, in forma abbecedaria.

Arrivano. 1979 la data, Larry e Magic i nomi. La NBA di oggi non sarebbe esistita senza l’approdo dei 2 inimitabili campioni, e senza il lavoro di un altro campione, che giocò dietro la scrivania: il commissioner David Stern. L’abiccì del draft doveva iniziare con la dedica ai due fenomeni che, con il loro basket, la loro perfetta rivalità, la loro incredibile e stretta amicizia, hanno trasportato il gioco a un livello fino allora inimmaginabile. Bird in realtà fu selezionato nel ‘78, in base alla regola che prevedeva la possibilità di scegliere i giocatori al loro quarto anno di Università: essendosi iscritto ma avendo saltato il primo sia sul parquet che in aula, il biondo rimase 5 anni a Indiana State, ma al suo quarto i Celtics lo presero col numero 6 assoluto. Ma di questo più avanti…

Bowie, Sam. Alcune squadre hanno col draft un rapporto di sfortuna inesorabile. Una sono i Blazers. Sam Bowie era un centro da Kentucky U., per mobilità, tiro, passing game era avanti 10 anni nel ruolo. Era conosciuto come injury prone, ma se sei i Blazers-hai bisogno di un centro-hai la n. 2 assoluta, dopo che ti soffiano Olajuwon chiami Bowie in totale tranquillità, certo di cadere sull’ovatta. Non pensi, insomma, che al 3 viene chiamato MJ, al 4 Perkins, al 5 Barkley, e al 16 un mingherlino pallido da Gonzaga, tal Stockton. Invece caddero malino, i Blazers, perché Bowie si infortunò subito, e giocò male, quando giocò, sempre rincorrendo il parquet tra mille problemi fisici. Nel 2005 quella chiamata di Portland fu eletta da ESPN la peggior mossa manageriale nella storia dello sport americano, ma credete: al tempo molti avrebbero fatto la stessa scelta.

Cavs. La Lotteria NBA è la procedura con la quale viene estratto l’ordine di scelta al Draft delle peggiori squadre dell’Associazione, secondo un meccanismo che assegna alle peggiori tra le peggiori un numero elevato di possibilità in più di piazzarsi ai primi posti di chiamata. Bene, negli ultimi anni alla Lottery si poteva applicare, adattata, la frase di Gary Lineker sui Mondiali di calcio e la Germania: la Lottery è quel sorteggio in cui le possibilità sono guidate da un solido pensiero statistico, ma alla fine vincono sempre i Cavs. 2011-13-14 prima chiamata assoluta: Irving-Bennett-Wiggins, con gli ultimi due che hanno fruttato l’arrivo di Love, una scommessa vinta nonostante l’infortunio. E senza dimenticare che hanno avuto la N.1 anche quando più contava negli ultimi 15 anni. 2003, the Cleveland Cavs select: LeBron James.

Damon Bailey. Siete nell’Indiana, Stato in cui il basket conta come una Fede. Il basket scolastico lì vale più di quello pro, e ad Indiana U., prestigiosa a prescindere, in quegli anni allena Bob Knight, allenatore fumantino e severissimo, uno dei più in vista degli USA. Siete stati la stella dei licei dell’Indiana, siete stati Mr. Basketball, quel sergente maggiore dei Marines che ora vi allena ha mosso mari monti e coscienze per farvi abbracciare l’ateneo. Siete Damon Bailey, il Predestinato. Siete venerati e amatissimi, e siete legati a quel coach che, però, con il suo insolito favore , vi ha fregato la vita. Nel 1984 la frase di Knight su DB 14enne finì sul libro che raccontava quella stagione degli Hoosiers (J. Fenstein, A season on the brink): “questo marmocchio è migliore di tutte le guardie che abbiamo ora…e non dico potenzialmente migliore, dico: migliore, ORA”. Negli anni ad Indiana però, pur densi di altri successi e copertine di Sports Illustrated, la dicitura “forte, non fortissimo” (non un gran fisico, e pure lentuccio) si stampigliò sul suo dossier per molti scout NBA. Fu chiamato al n.44 nel 1994 (da chi se non dagli Indiana Pacers) non senza che Knight gridasse allo scandalo e all’incompetenza di quei sovrapagati scaldasedie (non disse proprio così…) che lavoravano nelle franchigie pro. Ebbero ragione loro: Bailey spese più tempo nella CBA che coi Pacers ed ora è proprietario di un grande emporio di ferramenta e vice allenatore della squadra femminile di basket di Butler U. Sic transit…..Knight non portava fortuna alle guardie bianche con gran tiro ma poco fisico: la storia di Bailey ripeteva, 8 anni dopo, quella di Steve Alford, che, almeno, con Indiana fu campione NCAA 1987 e ora allena UCLA.

Ellison, Pervis. Anno 1989. Numero progressivo: 1. College di provenienza Louisville, franchigia di approdo i Kings. Campione NCAA nel suo anno da freshman, e relativa conquista dell’onorificenza di Miglior Giocatore del Torneo NCAA e delle Final4, primo freshman nella storia ad ottenere l’award, e unico fino all’anno in cui venne imitato da Carmelo Anthony: 2002. Dove sta il trucco? L’indizio è nel soprannome: Pervis Never Nervous. L’allitterazione nasconde l’indole da siesta col sombrero sugli occhi di un giocatore tra l’altro vessato da parecchi infortuni alle ginocchia: e si sa che recuperare dagli infortuni richiede un numero basso di tacche alla voce pigrizia. Ebbe una carriera pro risibile, paragonata alle attese e alle potenzialità di un pf che poteva giocare minuti di qualità sia da 5 che da 3. Migliore (e inspiegata tuttora) stagione nel 1991-92 a Washington, quando con 20+11 ebbe anche l’award di Most Improved Player della NBA. Imprescindibile membro dei Boston Celtics nel periodo più buio della storia bostoniana, dal 1994 al 2000. Il 1989 non fu un anno prodigioso al Draft, ma ebbe Tim Hardaway al 14, Shawn Kemp al 17 e Vladone Divac al 26. Eppure molti avrebbero fatto la stessa chiamata, al tempo.