ORACLE ARENA, OAKLAND. CLEVELAND CAVALIERS 77 – GOLDEN STATE WARRIORS 110. 2-0 WARRIORS
Secondo atto della serie finale sulla baia, la celebre Paul Reed Smith di Carlos Santana, lino bianco e mocassino giallo coi colori della Dub Nation, accompagnata dalla batteria della moglie Cindy Blackman, suonano “The Star Spangled Banner”. Esattamente come l’anno scorso, mocassini a parte. La gara comincia, ci si attendeva maggiore intensità ed una qualche reazione di Cleveland, cose che nel primo quarto sembrano arrivare. Il ritmo non parte altissimo, c’è leggermente più fisicità rispetto a gara 1, gli splash brothers continuano a non accendersi del tutto. Bogut è dominante, piazza 4 stoppate nel solo inizio, da vera ancora della difesa. Gli slanci con cui va a cancellare le conclusioni avversarie, o a tirare giù rimbalzi pesanti, ricordano quelli dei pallanuotisti che si liberano dell’acqua per giocare il pallone, con l’unica differenza che l’australiano si libera di maree di uomini, e che la palla ancora non è in suo possesso. Gli Warriors usciranno dagli intervalli, lunghi o brevi che siano, sempre piuttosto disattenti. Succede anche tra primo e secondo periodo, LeBron inventa un paio di magie, la difesa dei Cavs sembra tenere, e Cleveland sembra poter indirizzare questa partita. Un passaggio, lungo due minuti, tanto interessante quanto illusorio. Subito dopo il parziale di 4-0, Kerr chiama un time-out, e soltanto due possessi dopo sarà Lue a chiamare a raccolta i suoi. Thompson inchioda una tripla, Livingston schiaccia al termine di una gran manovra. I Cavs passano dal giorno alla notte in pochi secondi, il passaggio successivo della partita vede un parziale di 19-2 per i padroni di casa, che letteralmente volano mentre LeBron e compagni non riescono a far altro che guardare. Durante la prima ondata dei campioni, i Cavs perdono Love, mai seriamente in partita in ogni caso, a causa di una gomitata di Barnes (totalmente involontaria benché durissima). Non riescono a mettere in partita né Kyrie né nessun altro, fatta eccezione per Richard Jefferson, l’unico apparso veramente pronto a giocare questa partita, ma ovviamente deficitario del talento e dell’energia necessaria per impattarla nella maniera devastante che servirebbe ai suoi. Draymond Green mette le prime due triple della sua fantastica partita, costantemente battezzato al tiro non fa altro che punire la scelta difensiva degli avversari. Dopo aver commesso innumerevoli errori sui cambi e qualche palla persa di troppo, gli sfidanti riescono a mettere insieme un pranzo ed una cena, risalendo la china con un paio di giocate d’energia di TTT ed un paio di penetrazioni vincenti del Re, ritrovando una singola cifra di svantaggio. Proprio in quel momento, Curry prima (con un canestro che toglierebbe fiducia nella vita a chiunque) e Thompson poi infilano due triple che tagliano le gambe agli avversari, ancora nel loro momento migliore. Dopo aver fatto fare al morale un giro sulle montagne russe, Cleveland torna in campo all’intervallo con qualcosa di molto vicino alla disperazione. Un sontuoso Dray continua a colpire e trascinare, Steph rimedia un quarto fallo che lo terrà in panchina più del previsto; niente paura, l’assenza di Curry non si farà sentire troppo. Cleveland infatti non riuscirà a trovare nessuna continuità in attacco, persino il re rimedierà due fischi per passi consecutivi, protestando senza nessunissima ragione. Raggiunti venti e più punti di vantaggio, Kerr comincia ad allargare lo spazio, già ampio, per le sue seconde linee. Tra terzo e quarto periodo Barbosa e Livingston segneranno tutto quello che c’è da segnare, il brasiliano approfittando di un paio di “fumble” abbastanza grotteschi di JR Smith ed Irving, White Magic in modo meno scintillante rispetto a gara 1 ma sempre piacevole all’occhio. Tutto questo per poi consegnare il pallone a Steph, tornato nel frattempo in campo, per l’ultima bomba che aprirà un garbage time della durata di 10 minuti scarsi. In questi playoffs abbiamo visto molto più garbage time che in ogni altro visto da osservatori forse più attenti, sicuramente più longevi, del sottoscritto. Coach Lue rispolvera Mozgov, anche se solo nel momento spazzatura della partita, ma lasciando intravedere un’idea in proiezione futura, in parte dovuta all’infortunio di Love su cui ancora ci sarà da capire, oltre che per provare ad avere maggiore fisicità nel pitturato, arma quasi letale dei Thunder nel turno precedente. 28-7-5 con 5/8 dall’arco per Draymond Green, di gran lunga MVP non solo per le realizzazioni, 18-9-4 in 25 minuti scarsi per Steph, 17 per Klay e 40 punti dal pino per i Golden State Warriors. Per i Cleveland Cavaliers 19-8-9 di LeBron, 10 con 14 tiri di Irving, 12 di Jefferson unico in doppia cifra oltre i due già citati, con nessuno sopra i 20 punti. Cleveland chiude gara 2 col 35% di realizzazione dal campo, numeri coi quali alle Finals non dovrebbe presentarsi nessuno. L’idea di far rientrare Mozgov nelle rotazioni è interessante, se non altro perché queste due gare hanno chiaramente sancito l’impossibilità per gli sfidanti di battere i campioni al loro stesso gioco. In effetti, aver imparato a giocare alla maniera degli Warriors, ovviamente non in maniera perfetta, ma soprattutto l’altro ieri, non ti può dare le armi necessarie a battere chi ha fatto di quel sistema la sua forza ormai da oltre due anni con a disposizione interpreti più consoni. L’intensità necessaria continua a mancare per i Cavalieri, Iguodala è un leone in ogni caso, ma vederlo cibarsi di prede inermi non è quello che il grande pubblico si aspettava. Si torna ora in Ohio, per una gara che in caso di sconfitta avrà già il sapore di condanna. Ai Cavs serve trovare una chiave nuova, diversa da quanto fatto finora, oltre ad una potente reazione emotiva. Il rischio sarebbe altrimenti quello di perdere una finale NBA senza aver cominciato nemmeno a giocarla.