Le gare di prestagione tra le squadre NBA stanno premiando spesso quelle considerate sfavorite, mentre il conto alla rovescia dice meno 16 al season opener. La prima della stagione, per motivi diversi, sarà guardata dalla tribuna da almeno tre dei giocatori delle due formazioni che occupano l’ottavo posto del nostro Power Ranking.
WESTERN CONFERENCE #8: UTAH JAZZ. Crescita. La parola fondamentale è questa. I Jazz possono e dovranno continuare il processo di crescita iniziato lo scorso anno a cura di coach Snyder, che nella seconda parte dell’anno ha saputo ottenere dai suoi bimboni progressi consistenti, anche superiori alle previsioni. Il roster è davvero pieno di talento, a cominciare da quel Gordon Hayward che è forse al momento uno dei due soli bianchetti (insieme a Blake Griffin) che può fregiarsi del titolo di uomo-franchigia. L’uomo da Butler, discepolo al college di Brad Stevens coach dei Celtics, ha rendimento, solidità e personalità, ed ha saputo migliorare enormemente il proprio fisico (che usa senza paura, esaltando i tifosi) per adattarlo alle battaglie NBA: confrontate le foto del suo primo anno con quelle di ora….Accanto a lui Derrick Favors, pf che può spostarsi a numero 5, il quale sta diventando uno dei totem cui i compagni si rivolgono quando la situazione è difficile. Altro talento commovente è Rudy Gobert, per il quale abbiamo l’anno scorso creato la definizione di lungo talmente elegante che pare muoversi come una ninfea su un laghetto quando spira un po’ di vento; collega di spot 5, appena (e finalmente!) arrivato nella Associazione, il Tedesco Tibor Pleiss: messi insieme i due danno m. 4,40. Le guardie titolari sono la premiata ditta Burke&Burks: il secondo torna da infortunio, ma è pronto; sono affiancati dal talento in progresso di Rodney Hood, che oltre ad essere forte viene da Duke ed una sg di almeno 2 metri, anche se il sito della NBA lo cataloga 2.02. Manca Dante Exum, l’austaliano prima scelta dello scorso anno: molto atteso e più che parzialmente deludente, si è sfasciato il crociato anteriore sinistro, ed è fuori per la stagione; la parte che ha fatto infuriare i Jazz è stata l’occasione dell’infortunio: Exum era in Europa con la propria nazionale, in amichevole contro la Slovenia. E’ lui uno di quelli che non vedrà la prima stagionale; l’altro, il reprobo vero, è Booker, autore della rissa vs Hibbert di cui vi abbiamo raccontato nella puntata precedente. Il rookie di quest’anno è Trey Lyles, pf da Kentucky, uno che non dovrebbe esaltare ma nemmeno deludere: prospetto nel più classico dei modi, insomma. Il roster è completato da uomini non luccicanti ma molto utili e solidi: il canguro numero 2 Ingles innanzitutto, poi alcuni giocatori che negli ultimi tre anni hanno starreggiato in Summer League e fnalmente han trovato il loro posto: Bryce Cotton, pg con veloce passato da Sperone, Jack Cooley, ala, negli ultimi 2 anni in orbita Cavs, bianco da Notre Dame e quindi tosto come il diamante, che in NBA deve cercare di giocare da 3 ma in Italia sarebbe perfetto da centro, infine Chris Johnson, ex Celtic e Cerbiatto, aletta con tiro esiziale e grinta in difesa. Una bella possibilità è data anche al giovane brasiliano Raul Neto, reduce dalla Liga ACB: dovrebbe ingrossare le fila dei verdeoro nella NBA. Payroll basso, 60 milioni, che diventa quasi irrisorio considerando che 37 milioni sono occupati dal trio Hayward-Favors-Burks, che del trio nessuno è in scadenza prima dell’estate 2018, e che giocatori giovani ma già da corsa come Hood e Gobert saranno “sottopagati” fino alla medesima estate o anche oltre. Chapeau a Dennis Lindsey, Utah Jazz GM.
EASTERN CONFERENCE #8: BOSTON CELTICS. Arrivando alla zona PO, la Eastern Conference presenta una testa, rappresentata dai Cavs, e poi una nebulosa in cui le differenze tra le varie squadre sono estremamente sottili, perchè anche le formazioni che parrebbero avere un vantaggio a livello di roster sono alle prese con problemi che spaziano dagli infortuni ai dissidi tra le star, all’essere affidate a coaches esordienti. All’ottavo posto, quindi capaci di riconfermarsi, mettiamo i Celtics. Hanno il coach in ascesa per eccellenza della NBA, Brad Stevens, uno che è davvero un genio del gioco. Hanno una quasi-star in Isaiah Thomas, una profondità incredibile nel numero di giocatori non di primo livello ma di bel talento e già affermati: Turner, Amir Johnson, David Lee, Sullinger, Bradley, Zeller. Hanno due probabili futuri primo livello in Smart e Crowder (entrambi potenzialmente da primo quintetto difensivo..anzi Smart poteva meritarlo già lo scorso anno), un gruppo di giovani interessanti, tutti catalogabili nella casella “steal” agli ultimi due Draft: Young, Mickey, Rozier e RJ Hunter. Infine hanno una specie di UFO di nazionalità canadese: Kelly Olynyk. Lui non vedrà dal campo la prima partita in quanto squalificato per lesa maestà più che per qualcosa di reale, essendo rimasto fortuitamente coinvolto nell’abbraccio che ha dislocato la spalla di Kevin Love prima degli ultimi PO, rendendo inutilizzabile per i Cavs il ragazzone californiano. Olynyk potrebbe, e il condizionale va sottolineato mille volte, evolvere nel giocatore perfetto per la NBA di adesso: il 4 rapido che tira da tre pur avendo un bel corpaccione. 2.13 capaci di muoversi in quel modo e tirare in quel modo non ne esistono tanti, ma alle caratteristiche positive fan da contraltare una costanza di fatto inesistente, e uno spessore difensivo davvero minimo, culminante nell’essere maestro nel commettere falli da and1 o in ogni caso non intelligenti. La guida, ricordiamolo ancora, è di quelle di primo livello: coach Stevens è al momento forse l’unico Celtic ad essere nell’empireo della NBA, ma questa è una buona notizia, la base di talento a lui affidata ha qualità ed allenabilità. Numero uno assoluto invece è il manager Danny Ainge. Magata del secolo: ha mollato Gerladone Svicolone Wallace a Golden State in cambio di David Lee, prendendo sì in carico un contratto da 15 in cambio di uno da 10, ma acquisendo un giocatore invece di tenersi un soprammobile. Inoltre, ammirando, ripeto: ammirando, il payroll dei Celtics si nota che è alto, ma i contratti pesanti scadono in brevissimo tempo, e quelli convenienti invece superano la linea temporale data dall’innalzamento del salary cap, coincidente con l’avvio, fra due anni, del nuovo contratto televisivo. Questo significa che, con l’eccezione del caso di Crowder, i Celtics continueranno a pagare poco una fascia di giocatori il cui salario (meglio: le cui pretese) verosimilmente esploderà a partire dal 2017. Ci spingiamo molto in là, ma vi avvisiamo: non siate sorpresi se nell’estate 2017 i Celtics, con tutto lo spazio possibile nel loro cap, saranno in pole position per la corsa a Steph Curry.