Secondo capitolo della vicenda che a stagione aperta ha inaugurato (Ainge out, Stevens “promosso” al suo posto, necessità di un nuovo coach) la off-season. La storia continua e sarà l’ultima a chiudersi, probabilmente.

Si sono aggiunti due capitoli. Uno: Stevens è riuscito a sbarazzarsi di Kemba Walker. Gran bravo ragazzo, ma giocatore semi-finito. “Degenerative knee” dice che il suo infortunio al ginocchio dx è cronico, difficilmente migliorabile chirurgicamente. Quest’anno non ha mai giocato i back-to-back, e ha saltato parecchie altre gare; il 20/21 è stata la peggiore stagione dopo quella da rookie: anzi, in alcuni comparti la peggiore e basta. Costa tanto, quasi 34 MM/anno fino al 2023: grande trattativa quella portata a termine con la collaborazione di OKC. I Thunder, 35 scelte nei prossimi 7 anni, avevano infatti poco interesse a fare i difficili, e si sono incamerati Kemba + scelta 16 del Draft 2021 + seconda scelta 2025, mandando a BOS il vecchio Al Horford che ritorna dove ha vissuto il top della carriera + un ragazzone di gran temperamento e forse qualche futuro come Mosè Brown + una seconda 2023. Il ritorno aveva zero importanza: il vero scopo era liberare il roster e il payroll da quello che era diventato un peso morto. Kemba è un fantastico ragazzo, un giocatore sfortunato ma, anche integro, del tutto inadatto alle posizioni di vertice che devono essere la mission dei Celtics. Tornando indietro nel tempo e recuperando le ridotte dimensioni del giocatore, una specie di World B. Free o di Ray Williams senza problemi personali o di droga/alcol.

Capitolo due: Rick Carlisle si è liberato dai Dallas Mavs. 13 anni in Texas poi questa decisione poco prevedibile nel momento in cui, al terzo anno pro, dovrebbe fiorire del tutto la stella di Doncic. O si è davvero stufato, o ci sono problemi di tipo famigliare, oppure il coach sapeva che nemmeno il prossimo anno sarebbero arrivati i rinforzi necessari. Carlisle è legatissimo a Boston, dove ha giocato, vinto un Titolo e soprattutto è stato parte, in quel 1986, di una delle 5 squadre unanimemente riconosciute come le più forti della Storia NBA. Sarebbe una figura ideale per acume tattico e capacità di far fiorire i giocatori. Principale difetto: non è di colore. In questo momento è molto attiva negli USA (non solo nella NBA) la discussione sulla scarsità di neri nelle posizioni “di controllo” dello sport americano, a cominciare dai coach. Non hanno proprio tutti i torti (dopo il Draft presenterò uno studio al riguardo partendo dal 1990), ma spesso la polemica genera l’effetto meno desiderabile: quello di mirare al “black” prima che al “coach”. Proprio come ha fatto BOS, il cui FO ha fatto trapelare un’indiscrezione secondo cui sarebbero orientati ad assumere un coach nero, con particolare rilevanza al nome di Chauncey Billups. Tra questa dichiarazione e le dimissioni di Carlisle sono passate meno di 24 ore. La gara è apertissima, io resto dell’idea che i Celtics dovrebbero appendere un altro ideale banner alla loro storia di apripista: dopo il primo quintetto nero, il primo coach nero, il primo coach nero campione, è giunto il momento della prima coach. Ovviamente Becky Hammon o Kara Lawson. Rispetto a Billups, per entrambe esperienza in abbondanza e abilità già provate.