La March Madness è giunta alle Sweet16. Ma nulla è più come prima nel mondo NCAA.

La FolliaMarzolina ci tiene impegnati perché è un prodotto molto ben lavorato dai media USA e sostenuto a colpi di superlativi da una certa dilagante follia incompetente. Sapendo di risultare impopolari, non possiamo non esplicitare la definizione più adeguata al basket college attuale: una rissa tra cani randagi. Le molte sorprese di quest’anno (UNC, Virginia, MSU, Arizona fuori; Syracuse, Loyola Chi., KSU nelle 16) possono rendere la vicenda divertente, ma confermano la perdita di rotta del basket collegiale.

 

Quel che rendeva interessante e del tutto particolare il basket NCAA era la combinazione di 3 fattori. 1) Presenza di allenatori di primissima categoria, autentici edificatori del Gioco. 2) Gli allenatori avevano tempo per lavorare e plasmare in concreto le loro idee di basket e il gioco ed il carattere dei giocatori che a loro venivano affidati. 3) la tensione che tra i giocatori si creava per il fatto di non essere pagati e di dover restare 3 o 4 anni tra le mura del college: era quella a creare la positività dell’agonismo NCAA, molto diversa dalla rumble attuale.

Esisteranno sempre (forse) grandi allenatori e grandi giocatori NCAA, ma i fattori della grande bellezza e della imprescindibile importanza del college basket sono svaniti.

I giocatori restano raramente più di un anno al college, ma proprio per questa breve permanenza il loro reclutamento è diventato campo aperto per squali di tutti i generi, come testimoniato dal recente scandalo che attraversa il mondo collegiale. Breve riassunto: indagini FBI su riciclaggio di denaro e scommesse hanno portato a scoprire violazioni compiute dai college, dalle industrie di scarpe e accessori, dalle agenzie di rappresentanza sportiva sul reclutamento e il “mantenimento” dei giocatori. Sono coinvolte Università (e allenatori) di prestigio come Louisville, Arizona, MSU e Kentucky per un totale attuale di 25, con molti media che riportano essere 42 gli Atenei coinvolti.

Le violazioni hanno differente qualità e gravità. A Bam Adebayo nel solo anno di college a Kentucky prima del passaggio ai Miami Heat pare sian stati versati 48500$ tra cash e accesso a prestiti personali per i famigliari ; Jaron Blossomgame, uscito da Clemson dopo 4 anni, avrebbe ricevuto 1100 dollari in totale.

Quale che sarà la portata finale della indagine FBI, la NBA ed Adam Silver non sono certo contenti di vedersi tirati in ballo anche se non responsabili di alcunché. Più di 30 giocatori (non coinvolti se non a livello testimoniale) entrati nella NBA solo negli ultimi due anni sono nelle carte federali: la NBA non ama essere toccata dai panni sporchi NCAA. Ecco quindi accelerato un processo che Silver aveva già progettato, anche per l’evidente inutilità della regola del One-and-Done che obbligherebbe ogni giocatore ad almeno 1 anno di college prima di potersi rendere eligible al Draft. Ormai tutti fanno uso della regola indipendentemente dal talento e dalla preprazione al salto (casi di assurdo e precoce passaggio ai pro? Malachi Richardson, Deyonta Davis, Steve Zimmermann). Inoltre essa si è rivelata aggirabile sul piano legale: un ragazzo può andare a giocare all’estero (Emanuel Mudiay in Cina, Terrance Ferguson nella natìa Australia)  e rendersi eleggibile per il Draft a 19 anni senza passare dal college; prendendo spunto dalla regola per i giocatori International, provenienti da vivai e campionati europei, alcuni hanno reclamato un livello di istruzione pari al primo anno di un college americano, avendo frequentato il liceo in paesi diversi e avendo frequentato spesso per un solo semestre quella che in USA viene chiamata PrepSchool, corso di introduzione all’Università (come fatto da Thon Maker, liceo in Australia e Canada, Prep in USA).

Considerati gli scandali che hanno scoperto la micro/macro corruzione NCAA e la perforabilità della regola One-and-Done, Silver e i suoi hanno dunque messo l’acceleratore al progetto che prevede l’istituzione di un equivalente NBA dei vivai, da collegarsi strettamente alla G-League, nuovo nome (sponsor: G-atorade) della Development League. Ogni squadra NBA ha un G-League Team che da lei dipende, e questa sinergìa è lo strumento per la realizzazione del progetto, che è molto articolato e ha conseguenze, sul lungo periodo, disastrose per la NCAA.

Tenendo presente che la NBA non ha mai fretta di finire le cose e che non ha mai sbagliato un passo organizzativo negli ultimi 39 anni (cioè da quando fu aiutata a risollevarsi e divenire grande dal contemporaneo operato di Larry, Magic, David Stern), dovete immaginare il seguente scenario. Il basket liceale rimarrebbe inalterato, se non per il fatto che otterrebbe più attenzione da parte della NBA (presenza di scouts, camps o giornate di intervento dei giocatori NBA). Le graduatorie liceali dei migliori giocatori servirebbero per entrare in un programma di sviluppo tecnico da svolgersi all’interno di una squadra G-League, su base territoriale o dopo un processo di selezione simile al Draft. Si attiverebbe (finalmente!) un contratto retributivo tra la franchigia NBA (tramite la G-League) e i giovani prospetti. Dai primi colloqui tra Silver e il Sindacato Giocatori NBA è emerso che la tipologia del contratto potrebbe prevedere basso salario-base e alti bonus per risultati/miglioramenti. Il giocatore non avrebbe l’obbligo di frequentare un college, ma possiamo dire che sarebbe caldamente invitato a farlo: ipotizziamo che per due anni, fino ai 20, il giocatore dovrebbe portare alla NBA basket e bei voti. Nel lungo periodo si può addirittura immaginare una serie di college progressivamente inglobati dalla NBA, per coprire tutto il percorso formativo. E se dovessero esistere College-NBA, immaginate la Associazione “entrare” nel mondo finanziario tramite strumenti quali i prestiti sull’educazione. Conservate questo pezzo: si sta aprendo il futuro, in modi che difficilmente possiamo immaginare.