Spesso appaiono inchieste e classifiche sui “migliori di sempre”, me ne è capitata una sulle pg.
Tralascio quel ranking per dire che esiste solo un nome adatto alla migliore pg di sempre: Magic Johnson. Esiste anche uno e un solo nome per il primo alle sue spalle, e tutti gli altri vengono sesti o settimi. Steph Curry. Non tanto per gli Anelli, ma per come in 3 stagioni, dal 2014-15 al 2016-17, ha cambiato il modo di giocare a Basket. Dietro ad ogni giocatore – pietra miliare c’è (quasi) sempre un grande allenatore. Phil Jackson ha portato alla completa realizzazione di sé MJ e Kobe; Red Auerbach e Pat Riley in tempi diversi fecero lo stesso per Bill Russell, Cousy, Magic e Jabbar. Bird e Wilt non ebbero coach al livello di questi nomi, ed infatti hanno vinto un po’ meno di quanto la loro grandezza meritasse. Per Steph quella figura è stata Steve Kerr. Non che Mark Jackson fosse un cattivo coach: solo mancava la scintilla della grandezza, la sintonia tra geni. Ma, esattamente, quando Curry (questa la sua stagione 11 nella NBA) è diventato marchio e nome di questa epoca? Alcune notti-chiave ancora datate alla gestione-Jackson sono tracciabili. C’è quella alla Oracle Arena in cui per 5 volte di fila, con un blocco da p’n’roll centrale, Steph fu lasciato libero di segnare dall’angolo sinistro della lunetta: era il 2013, se la memoria non mi inganna fu vs Minnesota; di certo un barlume di idea che quel movimento potesse avvenire 350 cm più indietro deve essere apparsa in qualche mente, Curry in primis. La seconda notte arriva nel 2014, subito dopo essere stato snobbato per lo ASG: Steph imbuca 10 triple al MSG vs i Knicks per diventare il primo giocatore di sempre a segnare 50+ con quel numero di tiri da 3. Didascalia: non solo posso farlo, non solo so farlo, ma ora mi avete pure fatto incazzare. Nell’estate di quell’anno, Steph porterà all’oro Mondiale Team-USA, facendo giocare a quella squadra il basket più perfetto per tecnica, tattica e velocità di esecuzione mai visto nella storia del Gioco, molto meglio dell’Original Dream Team. In quell’anno Curry era stato molto più padrone del gioco anche negli Warriors, un passaggio non positivo a livello di risultati ma importante per l’acquisizione delle caratteristiche legate alla leadership assoluta su una squadra. Più tocchi di palla, più pick and roll (dal 31% dei suoi possessi al 37) mentre diminuivano i suoi tiri spot-up e aumentavano quelli dal palleggio (da 42% del totale a 53). La vulgata riporta che Mark Jackson fu licenziato alla fine della stagione 2014 perché sconfitto dai Clippers in 7 al primo turno. Vero, MA la stat decisiva fu: nonostante il loro brillare, Warriors solo 12’ nella NBA per efficienza offensiva. L’attacco era ancora basato su palla in post basso per le sederate e i semiganci a centro area di David Lee, che non era un genio nel riaprire il gioco sugli esterni, anzi era un buco nero: quell’attacco nonostante i numeri di Steph risultò insufficiente nei PO, incapace di esaltare pregi, nascondere difetti, scavalcare difficoltà. Poi arrivò Kerr. A dispetto di quel che si possa pensare, i tiri da tre di Curry passando da Jackson a Kerr aumentarono di decimali insignificanti: da 7,7 a 8,1. L’intuizione del coach fu togliere la palla (non il comando) di mano a Steph prima possibile all’interno del possesso, per potergli regalare il campo intero, allargandolo al massimo in una offense larghissima, profondissima, pass-first. Meno p’n’roll (da 37 a 29% dei possessi), meno isolation (da 17% a 10), meno tiri dal palleggio (dal 52% al 40). Il campo era quasi interamente disponibile non solo per il raggio di tiro mai visto che Steph possedeva (possiede), ma anche per la presenza di un giocatore disposto a passare la palla sempre e bene (Dray-G) e di un ricettore dalla precisione esiziale (Klay). La bacchetta resta a Steph, è lui che imposta il ritmo, e il ritmo cresce insieme al campo disponibile: richiamate alla memoria QUANTE volte avrete visto il primo passaggio di Steph avvenire ancora dietro la metà campo per Green largo ed alto a dx appena dopo half-court. Steph va a sx per bloccare dando avvio all’azione dal lato debole che porta Klay al tiro o, spesse volte, ad un extra pass con cui la palla torna in mano a Curry per la conclusione, che avviene con meno difesa addosso, dopo un bel blocco (Bogut, Speights, il povero Ezeli, Looney, Varejao). In questo gioco di squadra purissimo e di ampio respiro, la percentuale di azione dal p’n’roll di Curry calò dal 29% al 26, e quella dei tiri off screen quasi raddoppiò da 9 a 17%. Spariti dal gioco dei centri di GS gli 1 vs 1 a sederate: ne avete visto qualcuno dal talento notevole di Cousins, rari e in un momento particolare (arrivo e gestione di Durant). Il cambio di prospettiva di cui abbiamo parlato ha portato alla stagione più eccezionale da parte di una pg dai tempi di Magic, appunto, e a quella più eccezionale di sempre di una squadra: il 2015/16 in cui GS stabilì il record W in RS e Curry totalizzò le seguenti cifre in 34 mins di impiego. 30.1 + 6.7 + 5.4, col 50.4 totale dal campo, 45.3 da 3, 90.8 ai liberi e 2.1 recuperi. Dall’arrivo di Durant il meccanismo necessariamente cambiò (peggiorò?). Anche per la complessione fisica di Curry, il dato che trovo impressionante è quello dei rimbalzi: Magic ha 7.2 come media/carriera, Steph 4.5 e in 4 degli ultimi 5 anni è andato oltre i 5. Per costanza, durezza, incredibile capacità gestionale in un basket diventato molto più complesso di quello di 8-10 anni fa, e infine anche per Titoli vinti non esiste Kidd o Nash o Stockton o Thomas capace di fare il solletico all’uomo che, insieme a coach Kerr, ha cambiato il Gioco. E a dispetto di quel che tanti propagandano lo ha cambiato giocando di squadra: sono gli altri che per batterlo hanno dovuto arrivare ai tentativi estremi culminati negli attuali Houston Rockets.