Per bocca delle “sensazioni” di Marc Cuban, owner dei Mavs, le news che si hanno sulla NBA non sono allegre, così come non lo sono quelle che arrivano più o meno da ogni parte del mondo.

Lungi dal considerare il basket un bene primario in questo momento, e tuttavia cosciente del peso del ruolo di proprietario di un’impresa milionaria e di associato di una Lega tribilionaria, ha detto che forse (FORSE) potrebbe essere un’idea positiva quella di non dichiarare uno stop definitivo alla stagione, per poter essere pronti se l’emergenza dovesse calare; è cosciente però del fatto che il concetto di “riprendere appena possibile” si scontra con quelli di “pubblico pagante” e di “prendersi cura della situazione”, quindi, se ripresa dovesse esserci, sarebbe a porte chiuse…”se do retta alle mie sensazioni”, dice lui. E noi ci fidiamo, è uno dei proprietari più rompipalle ma anche più capaci e sanguigni, con l’ultima parola come sinonimo di: sinceri.

Nel frattempo la NBA, tramite il suo più che perfetto canale tv, sta cercando di sollevare l’attesa blindata dei fans con NBA Together: la riproposizione di partite storiche appositamente rieditate per ridurre al minimo i tempi morti senza far calare il pathos: si tratta di gare 6 o 7, roba sempre decisiva con durata sotto ai 90 mins (spesso partendo da originali di 150 mins, che sarebbero improponibili). L’ultima che mi è capitato di guardare (solo il quarto periodo) è stata Gara 7 delle Finals tra Spurs e Pistons a San Antonio, anno domini 2005. E’ l’occasione per ricordare giocatori importantissimi presto dimenticati, come Lindsay Hunter, per vedere come nell’ultimo quarto i Pistons fossero appesi solo a Billups e ai miracoli di Rasheed Wallace che fece non 1 ma 5 miracoli offensivi. Per constatare che Robert Horry anche a fine carriera era uno che sapeva come si vince, risultando in questo uno dei top 10 giocatori NBA di sempre, forse: tira una tabellata vergognosa da 3 ma poi compie non meno di 4 azioni decisive con rimbalzi depredati, palloni recuperati e difese, assists. La foto che fa da testa a questo articolo ritrae il MVP di quella gara e delle Finals, Tim Duncan, mentre agisce in quello che è stato il fattore determinante perché SA vincesse: palla in post basso e lui capace di trovare un uomo sul perimetro per una tripla. Durante il break decisivo, in momenti di assoluta agonia offensiva per entrambe le squadre, gli Spurs, di squadra come vedete dalla foto, trovarono 4 triple consecutive; dall’altra parte solo i miracoli di -Sheed, che non potevano essere eterni e, soprattutto, erano da 2. Ultima nota: entrembi i coach (Pop e Larry Brown) adottarono una rotazione a 7, minutaggi quindi per forza elevati, ma destano ugualmente impressione i 46:38 giocati da Rip Hamilton, che poveretto sbagliò tutti i tiri dell’ultimo periodo, sopraffatto dai soli 82 secondi di riposi avuti.