Il campionato di A2 è ormai agli sgoccioli: Udine, Verona, Cantù e Scafati si stanno giocando le finali promozione e a breve due di loro faranno in salto in A1. La stagione di Urania invece è finita da tempo con una salvezza conquistata senza passare dai playout e così dal 1° maggio i Wildcats hanno potuto assistere da spettatori tanto alla lotta per non retrocedere quanto ai primi turni di playoff.

Ad oltre un mese di distanza, con tranquillità e a mentre fredda, è arrivato dunque il tempo dei bilanci e delle considerazioni finali su un’annata caratterizzata da tanti alti e bassi e chiusa al decimo posto del Girone Verde dopo la fase ad orologio.

Per tirare una riga e chiudere definitivamente il capitolo sul 2021/2022 ci siamo rivolti niente meno che a coach Davide Villa, capoallenatore di una formazione che l’anno venturo, forte delle lezioni apprese negli ultimi mesi, proverà a vivere una stagione più solida e lineare.

Coach, che voto dai alla stagione di Urania e qual è il tuo bilancio complessivo?

Come voto alla stagione do “5” ma il mio bilancio è comunque positivo visto come abbiamo finito l’annata: il risultato raggiunto infatti, anche se minimo, è stato quello che ci eravamo prefissati a inizio anno. Son convinto però che con un po’ più di attenzione e spirito di gruppo (mancato a tratti) sicuramente avremmo potuto fare qualcosa meglio. Il “5” è dovuto proprio a questo, al fatto che avremmo dovuto e potuto fare di più. Essere arrivati, ad un certo punto, a due vittorie dai playoff lo dimostra: con un pizzico di feeling in più potevamo concludere l’annata in un’altra maniera.

Qual è stato il momento più difficile e quello più bello di questa stagione?

Il momento più bello credo sia stata la vittoria in casa contro Cantù: ci servivano i due punti, la partita aveva una valenza importante, non c’erano più le limitazioni di capienza per il pubblico e quindi giocare e vincere quel match davanti a 3500 persone è stato davvero splendido.

Il momento più difficile credo di averlo già provato a dimenticarlo. In realtà penso siano stati tanti i momenti poco felici. Il periodo a cavallo tra dicembre e gennaio, ad esempio, in cui abbiamo inanellato tante sconfitte di fila è stato certamente tra questi ma non tanto perché ci fosse più pressione o particolare negatività ma semplicemente perché, come gruppo squadra, facevamo fatica a risalire la china. In quei momenti è stato difficile tornare in palestra a lavorare. Anche la trasferta di Capo d’Orlando, in cui abbiamo preso una bella ripassata, è stato un frangente parecchio tosto ma siamo comunque riusciti a riprenderci.

Hai parlato di gruppo: qual è stata la difficoltà maggiore a livello collettivo?

Sostanzialmente non c’era unione d’intenti. Ciò non vuol dire che qualcuno andava in campo per perdere, questo non ci è mai capitato, però in certi momenti mancava semplicemente la voglia di far fatica assieme e prevaleva la necessità dell’individuo su quella di squadra. Questo è stato il grosso problema lungo tutto l’arco della stagione.

Hai una spiegazione del perché questa squadra abbia avuto problemi di approccio alle gare quest’anno? Nei primi quarti questa stagione il record è stato di 4 parziali vinti e 26 persi…

Il problema di questi 26 primi quarti non è tanto l’averli persi ma l’averli persi andando sotto più della metà delle volte di almeno una decina punti, non di tre-quattro. La spiegazione per me è sempre riconducibile al discorso del collettivo e dell’unione d’intenti: quando ci siamo trovati a commettere 1-2 errori in fila abbiamo sempre fatto fatica a mettere un punto e ricominciare daccapo perché a livello emotivo cercavamo il colpevole dell’errore e, così facendo, non riuscivamo a voltar subito pagina pensando a far bene l’azione successiva. È sempre stato come un cane che si mordeva la coda perché all’errore di un singolo spesso seguiva subito l’errore di un altro che sbagliava nel tentativo di risolvere la situazione. Le abbiamo provate tutte per vedere di raddrizzare la cosa partendo ad esempio con Montano dalla panchina per avere l’energia di Cipolla, con Montano in quintetto per sfruttare il suo talento, con Piunti in quintetto al posto di Paci…Nonostante tutto, ci siamo quasi sempre trovati ad approcciare le gare in modo soft.

Qual è l’aspetto di cui vai più orgoglioso?

Direi il mio staff e la società. È stata una stagione molto complicata e loro sono stati uniti in maniera incredibile. Hanno sempre trovato la forza di andare avanti e di superare gli ostacoli che si sono presentati. La loro compattezza ci ha davvero permesso di superare i momenti più difficili. Questo per me è l’aspetto da cui ripartire.

Ecco a questo proposito, la società ha fatto di tutto anche per cambiare volto alla squadra in corso d’opera: quanto sono stati importanti gli innesti di Nikolic e Portannese?

Per quanto riguarda Nikolic, il suo innesto nasce dalla necessità di cambiare in corsa Walley e quindi abbiamo preso il giocatore che più si avvicinava alle caratteristiche di cui avevamo bisogno. Noi cercavamo un giocatore con energia e tiro e lui era quello che veniva incontro alle nostre esigenze fra quelli disponibili sul mercato in quel momento. È evidente che siamo stati costretti ad adeguarci ma, in ogni caso, del suo apporto possiamo ritenerci discretamente contenti perché ci ha permesso di bilanciare le qualità del gruppo, nel bene e nel male.

Portannese invece, giocatore di personalità importante, sapevamo che poteva essere un’aggiunta rischiosa perché ha bisogno di tanti possessi e tanta palla in mano e noi avevamo già giocatori di quel tipo ma siamo andati comunque su di lui perché, ruotando sei senior fino a febbraio, ne avevamo bisogno. Alla fine, ha messo canestri decisivi con Treviglio, Torino e Cantù e ha dato un bel contributo alla nostra salvezza. Questo non vuol dire che ci siamo salvati solo grazie a lui ma sicuramente il suo arrivo è stato altamente funzionale al raggiungimento del risultato.

Cosa ti ha insegnato, cosa ti porti dietro di questa stagione?

L’insegnamento è sicuramente quello che, per quanto tu possa fare questo mestiere da anni, devi essere sempre il più scrupoloso possibile e riservare grande attenzione anche agli aspetti emotivi e umani nella costruzione di un team e non solo a quelli tecnici.

È sempre stato un nostro punto di forza porre attenzione alle qualità umane nella costruzione della squadra cercando ragazzi che, prima di tutto, fossero uomini in grado di condividere un obiettivo comune. L’anno prossimo proveremo ad essere ancora più scrupolosi del passato in tal senso con l’obiettivo di avere un gruppo che ci permetta di andare oltre i nostri limiti. Avere persone che si accontentano di quello che hanno, prive del senza il giusto mordente e della voglia di superare gli ostacoli per il bene del gruppo e della società non fanno certamente al caso nostro.

Come spieghi la netta differenza di rendimento tra casa (10-5) e trasferta (2-13) che ha caratterizzato la stagione di Urania?

Siamo stati una squadra che riusciva malvolentieri o proprio non riusciva a superare le difficoltà e dunque, aumentando queste in trasferta (basti pensare al pubblico contro e alla maggior tendenza delle squadre di casa a fare parziali importanti), spesso ci siamo sciolti. Questo è accaduto anche in casa ma qui almeno, con il nostro campo e il nostro ambiente, siamo riusciti con più facilità a rimetterci in bolla: in trasferta questo è avvenuto molto meno. La fotografia è la doppia sfida con Biella giocata a dieci giorni di distanza: in casa abbiamo avuto un’attenzione e un’energia ottime, in Piemonte invece le energie le hanno avute loro e a noi sono mancate.

Chi sale in A1?

Udine e Cantù. L’Apu non credo riesca a perdere la serie finale perché, per quanto Verona sia forte, mi sembra un filo meno attrezzata: dico quindi Udine 3-1. Dall’altra parte è un po’ più equilibrata, le trasferte a Scafati non sono semplici ma non lo sono nemmeno quelle a Cantù. Per questo direi 3-1 Acqua S. Bernardo ma se dovessero arrivare a gara 5 punterei sul successo di Scafati.