Di tecnica, di esperienza e soprattutto di fisico LeBron James porta i Cavs alle NBA Finals. E mi perdoni Osvaldo Soriano.

Nel 2015, al secondo anno come commentatore NBA per Baskettiamo, trovai sulla stampa USA una parola che avevo visto solo nei romanzi di Edith Wharton o Jane Austen: unfathomable. Significa, alla lettera, “insondabile, impossibile da conoscere” quindi anche “impronosticabile perché mai accaduto né studiato in precedenza”. Era applicata alla resistenza fisica di LeBron James nelle Finals perse vs gli Warriors; per spiegare l’eccezionalità del fisico di LBJ aggiungo soltanto che, nell’Agosto di quell’anno, i dati relativi agli sforzi del Prescelto furono presentati come “esempio unico” ad un convegno medico in Indonesia.

Quindi non c’è molta sorpresa nel trovare alla casella dei minuti giocati da James il numero: TUTTI. 48 mins, e se ci fosse stato un supplementare avreste trovato 53. James sempre in campo è anche il Totem impossibile da dissacrare. In particolare da parte di una squadra che, come i Celtics stanotte, surclassa l’avversario sul piano del gioco ma non la mette mai (34.1% dal campo). I Celtics hanno fatto tutto bene, le scelte offensive e difensive (per quanto sia possibile difendere l’Insondabile), lo sforzo, la concentrazione e anche l’esecuzione – fino al momento di dare la frustata col polso. Il polso, a volte, è una parte del fisico stranamente collegata al cervello, molto più collegata di quel che si ritenga. Da aficionado del Gioco, avevo già visto in altre squadre l’atteggiamento dei ragazzi in biancoverde. Per esempio gli Hawks di metà anni ’80, che si infrangevano sempre proprio contro i Celtics e perdevano anche quando potevano vincere. Il Totem sempre in campo è stato anche questo: far credere agli altri che non ce la potevano fare. Nonostante 20 tiri in meno: i Cavs hanno vinto una Gara7 di Finale di Conference con solo 66 tiri dal campo (nemmeno il Pana o il Fener tirano così poco) perché i Celtics hanno infilato un paniere meno (29 vs 30). E si potrà anche parlare di qualche favore arbitrale per portare James alla ottava finale consecutiva, ma le guardie di Boston (Rozier-Brown-Smart) hanno messo insieme 8/42 dal campo (di cui 3/26 da 3), sancendo una volta per tutte che i limiti sono stati valicati, addirittura irrisi durante la RS e i PO, ma, alla fine, Kyrie ed Hayward erano titolari per una ragione. Ugualmente, pur al confine della ormai quasi canonica partita orrenda, Hill e JR Smith hanno già visto Finals e Finali di Conference, rendendo chiaro che 65 anni in due hanno un valore, in certi casi, superiore ai 70 anni in 3 dei Bostoniani. Non c’era Kevin Love, e i 48 mins di James (35-15-9, e stavolta pazienza le 8 perse) si spiegano anche con questo, ma vi avevamo avvertito nel commento a Gara6 che non era necessariamente una disgrazia: così è stato. Infatti l’assenza del Californiano ha tolto di mezzo un bersaglio dell’attacco biancoverde, e colui che ne ha preso il posto in quintetto non era solo il migliore tra i compagni di James, ma quello che meglio conosceva i ferri, il parquet e il rumore che il TD Garden può creare: Jeff Green, ex Celtic, ex paziente cardiochirurgico salvato da un aneurisma aortico, silent killer della sua ex squadra con 19+8 e il 100% al tiro da 2 (5/5). Per non parlare della partita quasi perfetta di TTT, che Nei Cavs ha l’importanza che Draymond Green ha per GS e dunque non si può riassumere nel 10+9, ma acquista valore se si pensa che, là dove i polsi tremavano, lui metteva 4/4.

James 50% dal campo, Green+Thompson 9/9 da 2: ecco come viene usata l’esperienza, se sei capace.

A parte un buon vantaggio iniziale (+11 nel primo quarto poi chiuso a +8) solo in un altro momento Boston ha dato l’impressione di poter raddrizzare il proprio destino: quando, a metà quarto periodo, Jayson Tatum (24+7 con 9/17 dal campo) ha scritto con 5 pti in fila un +1 che ha fatto pensare molti all’approssimarsi di un tempo supplementare. Sono stati, quei 5, una tripla preceduta da una schiacciata in faccia a James, con urlo e bump del rookie dei Celtics al Prescelto. Forse l’ombra di un passaggio di consegne (perché Tatum è roba finissima, e nei PO nettamente il migliore del magico trio di ventenni che conta anche Mitchell e Simmons), di certo un impulso alla permalosità di James. Quando è molto esposta, sono cattive notizie per i Cavs, quando, come è stanotte, è permalosità silenziosa, sono guai per gli avversari: 12 pti nel quarto periodo e ‘nanotte. La valigia è pronta, The ChosenOne saprà stanotte in che città l’aprirà.