La stagione NBA è ufficialmente terminata, i Cleveland Cavaliers hanno conquistato il primo anello della loro storia. Essendo già passata qualche ora dall’atto finale, accantoniamo le discussioni su come sarebbe andata in seguito a decisioni diverse, ad essere ricordata sarà la vittoria dei Cavs, come giusto che sia. Sperando che anche chi è stato in grado di influenzare certe decisioni non lo sia più, o almeno che non ci si senta.

Discussioni a parte, la storia di questa lega è tra le più gloriose dello sport mondiale, e questa notte si è aggiunta un’altra pagina al libro. La storia la scrivono i vincitori, ma per le pagelle cominceremo dai perdenti, che per più di metà stagione non sono sembrati, ma sono stati padroni di questa lega e di un pezzo della sua storia.

GOLDEN STATE WARRIORS

STEPHEN CURRY. Voto: 8 – L’MVP di questa stagione è uno di quei giocatori che rimarrà per sempre nella storia di questo gioco, tra quelli che lo hanno rivoluzionato ed onorato con miracoli che del passato ricordano personaggi come Pistol Pete. In questa serie finale però è apparso vittima di qualche difficoltà fisica, non soltanto dovuta a dei piccoli infortuni, ma soprattutto alla incredibile quantità di body-checks subiti. Non che gli si possa impedire di segnare, ma avendo meno libertà le sue percentuali e la possibilità di aprire il campo per i compagni sono nettamente peggiorate. Lui così come gli Warriors non escono assolutamente ridimensionati da queste Finals, il programma degli Warriors appare ancora tra i più solidi e ci auguriamo che Steph possa continuare ad incantare anche l’anno prossimo, magari lavorando su quelle situazioni che lo hanno limitato negli ultimi atti. Il voto tondo arriva per le prime due gare uccise col classico pugnale, per gara 6 giocata e quasi dominata nel nulla dei suoi, per ogni respiro spezzato dai suoi arresti. NON SVEGLIATELO, NEMMENO ORA!

KLAY THOMPSON. Voto: 7 – Definirlo un secondo violino è sempre stato riduttivo, vedendo come ha difeso su chiunque in questi playoffs diventa quasi impossibile. Le valutazioni dei big dogs degli Warriors non possono essere insufficienti, altrimenti si dimenticherebbe quanto vicino sia stato questo back-to-back e quanto successo nelle prime gare. Il fratello minore dello splash è un giocatore splendido, in queste finali colpevole soltanto di discontinuità, i suoi strappi, le sue triple da centrocampo di gara 4 sembravano mandare all’inferno i nuovi campioni appena qualche giorno fa, il calo della sua intensità e delle sue percentuali ha coinciso perfettamente con quello di tutta la squadra. Così come il capo, Klay ha sofferto specialmente in gara 7 l’adeguamento difensivo degli avversari, sparendo a tratti dal gioco che rimaneva tra le mani meno dotate del supporting cast. Nonostante tutto questo i margini di miglioramento sembrano ancora esserci, per lui come per tutta la squadra vale l’auspicio di vedere in futuro un po’ più di sano cinismo. MAYBE NEXT YEAR.

DRAYMOND GREEN. Voto 9 – La valutazione più difficile da esprimere. L’ago della bilancia, il leader emotivo, la croce e la delizia. Della squalifica per somma di tecnici o di flagrant si parlava fin dall’inizio della post-season. La suddetta è arrivata in gara 4, per una quasi zuffa con LeBron, che se Green non giocasse sempre al limite probabilmente non si sarebbe verificata. Il fatto è che se Draymond Green non giocasse sempre al limite non sarebbe Draymond Green. Il cuore e l’energia che lo portano a spintonarsi con un miliardario in gara 4, sono le stesse cose che lo portano a fare 32 punti con 15 tiri, 15 rimbalzi e 9 assist in gara 7. Nel momento peggiore degli ultimi due anni per i suoi, quando gli alieni sembrano umani, il più umano di tutti li sostituisce. A reggere impatti fisici lui non ha mai avuto nessun problema, di conseguenza l’unico augurio che gli si possa fare è quello di imparare a contenere, almeno in parte, determinati atteggiamenti, così che nessuno possa più toglierlo dal campo. CUORE+CERVELLO.

ANDRE IGUODALA. Voto 6 – Il giocatore dei cosiddetti untangibles, delle piccole cose, colpito da infortuni anche lui. Quando di piccole cose ne hai fatte talmente tante da essere a questi livelli sei un campione, e qualche colpo da campione Iggy lo ha fatto vedere senz’altro. Nelle ultime tre gare, complice un infortunio alla schiena, il suo apporto è stato minore. Ad uno col suo tiro e col suo chilometraggio non si può chiedere di fare la vera differenza in una serie finale. Andre è spesso stato quello che mette il fondamentale punto alle splendide perifrasi dei suoi più talentuosi compagni, ma un periodo di soli punti è di difficile lettura. L’anno scorso ha avuto le più belle parole possibili da organizzare ed è stato l’MVP, quest’anno si è dovuto arrendere all’uomo che marcava. CILIEGINA SENZA TORTA.

HARRISON BARNES. Voto: 4 – The black falcon ha rappresentato la vera delusione tra le fila degli ormai ex campioni. Non è stato mai brillante in questi playoffs, ma alle finals è apparso quasi involuto. Tirare col 35% di media non sarebbe nemmeno un problema enorme, a certi livelli per un tiratore non di razza potrebbe essere anche tollerabile, ma le ultime uscite, in particolare gara 6, in cui Barnes non sembrava in grado di azzeccare nemmeno la giocata più semplice non possono essere accettabili. Barnes continua ad essere considerato una promessa, ma visto quanto pensava di dover ricevere al prossimo contratto, potrebbe rimanere etichettato come tale. Probabilmente la scelta di rifiutare il rinnovo ad inizio stagione credendo di portare a casa titolo e contratto della vita alla fine gli si è ritorta contro. INESPRESSO.

ANDREW BOGUT. Voto: 5 – L’australiano è stato l’emblema della discontinuità in questa serie, a volte anche nella stessa gara ha alternato momenti di grande impatto ad altri di totale opacità. Se a tutto questo aggiungiamo la sfortuna, che colpendo il suo ginocchio lo ha tolto dalle ultime due gare e mezza il risultato non poteva essere altro che questo. CADUTA DEI GIGANTI.

SHAUN LIVINGSTON. Voto: 7 – Incredibile, ad un ritmo tutto suo, al di là dei risultati, ha mostrato probabilmente il meglio della sua carriera. Forse soltanto un assaggio di quella che avrebbe potuto essere senza disgrazie, ma comunque dimostrazione di dove alla fine il talento arriva, di quanto tenda a portarti in alto. Chiaro che ormai sia destinato ad essere un giocatore di contorno, anche se in momenti come gara 1 il contorno è stato superiore anche alla portata principale. WHITE MAGIC.

LEANDRO BARBOSA. Voto: 6 – Quasi sempre protagonista nei parziali agguantati da Golden State, spesso miccia decisiva per innescare la sua squadra. La risposta avuta da giocatori come Livingston e Leandrinho in alcuni momenti è stata superiore a quella dei più quotati. SCINTILLA.

FESTUS EZELI/ANDERSON VAREJAO. Voto: 5 – Entrambi i lunghi di riserva sono stati chiamati a sostituire Bogut nel momento più importante, e purtroppo entrambi non sono stati all’altezza. Il brasiliano aveva anche fatto vedere qualche lampo all’inizio della serie, ma entrambi hanno pagato a caro prezzo il debito tecnico nell’ultima gara, facendoci vedere alcuni errori al limite del grottesco. SPAESATI.

CLEVELAND CAVALIERS

LEBRON JAMES. Voto: 9 – 82 punti tra gara 5 e 6, tripla doppia in gara 7, stoppata che rimarrà leggendaria ad un minuto dalla fine. Giusto qualche elemento per cercare di descrivere quanto fatto da LBJ in queste finali. Senza discutere sul come e sul perché, rimane da testimoniare come possa essere dominante quest’uomo. Forse troppo spesso a modo suo, forse con atteggiamenti e scelte diverse avrebbe potuto fare ancora di più viste le infinite potenzialità, ma questo è probabilmente l’unico momento in cui non valgono certe considerazioni. Quello che è sicuro è che un meteorite si è abbattuto su questa lega da ormai 13 anni, ed ancor più sicuro è che i meteoriti lasciano il segno. Le lacrime dopo la sirena finale, Bill Russell che gli consegna il trofeo, saranno tutte scene ricordate per anni, associate alla notte in cui LeBron James portò il primo titolo della storia a Cleveland. MVP.

KYRIE IRVING. Voto: 10 – La sfumatura tra un 9 ed un 10 è sottile, e nel riservare la piena eccellenza ad Irving non c’è nulla di contrario al prescelto. Semplicemente, come il mio collega ha già sentenziato, queste finali raccontano la nascita di una stella. 24 anni, ball handling con nulla da invidiare a NESSUNO nella storia, e primo titolo della carriera. Per tutta la serie, per la cronaca la prima finale mai giocata, Kyrie è stato un’ira di Dio. Ha messo chiunque nel bollitore coi palleggi, ha aperto il campo in maniera esemplare, e soprattutto ha bruciato la retìna in ogni maniera possibile. I 41 punti con percentuale irreale di gara 5 rappresentano il manifesto di tutto il suo potenziale, l’and1 in gara 7 prima, e la tripla poi, tutta la capacità di essere decisivo. Qualcosa da migliorare ancora c’è, così come il tempo per farlo, ma già ad oggi Kyrie Irving è un giocatore in grado di decidere delle finali, e di far esplodere le arene facendo cose degne di chi una volta camminò sopra al suo allenatore. SPETTACOLO.

J.R. SMITH. Voto: 7 – Nel caso di J.R. un 6 vale più di un 10, il semplice fatto che possa essere controllato e capace di fare il suo, addomesticando un talento non addomesticabile ha del miracoloso. Una difesa efficace sugli esterni di Golden State era qualcosa che difficilmente ci si aspettava, sicuramente non con una buona costanza. La chiave di volta della settima gara è stata appunto la difesa, con la quale i Cavs sono riusciti a far giocare in 3 i campioni uscenti, e J.R. è stato sorprendentemente pulito ed ordinato nel ruotare e tenere gli immaginifici attaccanti della baia. Qualche tiro di troppo continuerà sempre a prenderlo, ma forse per averci fatto l’abitudine, forse perché effettivamente cambiato, l’ex Knick è apparso molto più solido. CALMATO?

TRISTAN THOMPSON. Voto: 7 – Doppia doppia di media, una quantità infinita di rimbalzi e di energia, questo è sempre stato Tristan Thompson. Non è appunto nulla di nuovo il suo apporto, benché fondamentale a questo livello anche quando il rimbalzo non lo prende. In gara 7 ad esempio ne prende soltanto 3 , ma la sua presenza sotto i tabelloni consente comunque a qualche cavaliere di riagguantare il pallone e ricominciare ad attaccare. Altra chiave dunque, gli attacchi infiniti dei Cavs, che hanno destabilizzato psicologicamente e fisicamente gli avversari. Senza TTT questo probabilmente non sarebbe stato possibile. CHIAVE.

KEVIN LOVE. Voto: 6 – Da rimandato era difficile essere promosso con più della sufficienza. Le prime uscite di Love in questa serie avevano suscitato imbarazzo negli analisti e nei dirigenti che avevano puntato tanto su di lui. Vero è che il volume di palloni giocabili dall’ex lupacchiotto è stato decisamente basso, ma in tutta la serie, fatta eccezione per l’atto finale, Love ha mostrato un atteggiamento troppo molle sui due lati del campo. La sua settima gara ha però i colori del riscatto, almeno parziale: 9 punti con 9 tiri, compensati da 14 rimbalzi e da una difesa incredibile su Curry alla ricerca della tripla de pareggio a 30 secondi dalla fine. TROPPO TARDI?

RICHARD JEFFERSON. Voto: 6 – Le rotazioni di Lue si sono drasticamente ridotte in queste finali, a causa di mancate risposte dal pino ed insicurezze dello stesso coach, Jefferson però ha rappresentato una delle poche certezze costanti in uscita dalla panchina, riuscendo quasi sempre a tamponare a dovere i minuti di lontananza dal parquet di LeBron, provando anche a tirare il carro in gara 2. VETERANO.

IMAN SHUMPERT. Voto: 5 – Così come Barnes, Shumpert è apparso spesso incapace di segnare in questa serie, rimanendo in rotazione un po’ per mancanza di altri elementi validi, un po’ perché all’inefficienza offensiva ed alla improbabile capigliatur ha sempre sopperito con una difesa rispettabile. LIMITATO.