Hawks, Cavs, Warriors si sono qualificati, ora resta solo da conoscere il risultato dei Clippers, che stanno provando in ogni modo a farsi eliminare.

EASTERN CONFERENCE

Atlanta Hawks (1) – Washington Wizards (5). Serie chiusa, gli Hawks la spuntano (la scampano bella?) 4-2. Dopo gara5, PP era uscito furibondo dalla Philips Arena, senza parlare con nessuno dei compagni. Per la gara era finalmente tornato Wall, che aveva dato un bel contributo, ma alla fine la tripla del vantaggio Wizards con pochi secondi da giocare era stata imbucata da lui, La Verità. Nel successivo ultimo attacco gli Hawks avevano puntato su contenimento dei tiratori da 3 e eventuale concessione di qualche penetrazione all’ultimo secondo: era andato tutto alla perfezione, perchè l’arco era rimasto sbarrato ai Falchi, e Schroeder si era dovuto impiccare in una penetrazione dagli esiti incerti. Aveva infatti subito una stoppata proprio da Wall, ma, in ogni caso, si sa che in quei frangenti o ti chiami LBJ, D-Rose eccecc, oppure non ti fischiano fallo a favore MAI. Quindi perfetto Wittman e perfetta Washington…ma…..Avevamo già citato Nenè come il punto debole di Capitol City, per la sua svagatezza e refrattarietà ad uno dei fondamentali cruciali del gioco che si chiama basket: il tagliafuori. Non tagliato fuori era sbucato Horford, uno dei centri meno propensi al rimbalzo offensivo, che prendeva e segnava per regalare la W ad Atlanta. Pierce si incamminava incavolato nero e smoccolante verso il locker. Lui sapeva. Lui sa cosa ci vuole per vincere e cosa si deve assolutamente evitare per non perdere. La serie di Washington è finita in gara5. Siamo però tutti grati che ci sia stata gara6, una delle partite più emozionanti e strappacuore giocate nell’ultimo decennio. Dopo un inizio equilibrato, Atlanta aveva tenuto a costante distanza di 7-10 punti i Wizards, senza mai riuscire, però, a staccarli definitivamente. Anzi, nostante un’attacco imballato, la vivacità difensiva di Wall&Co lasciava buone sensazioni ai fans di Washington. Le sensazioni diventavano certezza non appena le percentuali di tiro dei ragazzi di Wittman miglioravano e entrava in scena Bradley Beal, con un paio di cesti che portvano i suoi avanti di 1. Da quel momento nessuno segnava per quasi due minuti, fino a che un paio di invenzioni di Teague (un piatto servito a Carrol e una penetraione in proprio) portavano Atlanta sopra di 3. In particolare sul canestro di Carroll non era esente da colpe PP, uscito troppo per aiutare le proprie guardie e in ritardo, oltre che non assistito da nessun aiuto dei suoi lunghi dal lato debole, sull’ala di Atlanta. MA..com’era quella frase? Non sottovalutare mai il cuore di un campione? Ultima azione, rimessa Washington, palla a Wall che non ha le idee molto chiare e perde tempo, viene aiutato da un blocco di Pierce, il quale si apre e riceve, molto marcato, si libera con una danza a mezzo cm dalla riga laterale, e spara una tripla su una gamba sola. Canestro. Non è la mano, non è il cuore, non la tecnica o il talento a far difetto, Paul. Come in assoluto per la tua carriera che prima o poi finirà, a far difetto è il tempo. Un decimo? Forse meno. Ma quando la palla lascia la mano di PP il tempo è finito, la review non lascia eccessivi dubbi. Lo sa anche Pierce, che guarda affranto, mai visto con una simile espressione in viso, l’immagine combinata di tiro e cronometro. Wizards out. Avanza la migliore, i Playoffs sanciscono il giudizio con il loro incrocio continuo di strade che vanno avanti e strade che si interrompono: ammettono appello. Gli Hawks sono stati costanti, regolari, sempre applicati e concreti; Washington è stata il motore dell’emozione in questa serie, ha tratto tutto quello che poteva della linfa del Campione e ha pagato l’infortunio a John Wall, ma manca ancora, per certi livelli, di cinismo e concretezza.

Cleveland Cavs (2) – Chicago Bulls (3). Cleveland chiude in 6 partite. It’s all about making shots + It’all about defense. Sono due frasi che sentiamo spesso a proposito di quel che ci vuole per vincere su un campo da basket. Quando le due espressioni sono messe in pratica dalla stessa squadra, è molto probabile trovarla nella colonna della W. Infatti i Cavs sono andati a prendersi la serie allo United Center tirando meglio e difendendo meglio dei Bulls. E, si deve aggiungere, mostrando cuore e concentrazione davvero particolari, perchè hanno saputo reagire sia al gioco duro e a volte sporco dei Bulls (flagrant1 di Mirotic e altri colpi a James), sia all’ennesimo infortunio: Kyrie Irving si è infortunato al ginocchio e non è tornato in campo, ma ha detto che avrebbe potuto farlo se la partita fosse stata a punteggio serrato. Prendendo per vere le frasi del giocatore si spera che non si tratti di problema serio, e in ogni caso buon per Kyrie: ha potuto riposare, dal momento che il distacco tra Cavs e Bulls raramente è sceso sotto ai 15 punti. Oltre a James, l’eroe di giornata è stato Matty Dellavedova, l’australiano che ha un po’ deluso durante la stagione regolare, perchè veniva da ottimi Mondiali con la sua nazionale e da una eccitante Summer League. E’ stato anche penalizzato dalle difficoltà iniziali dei Cavs, e dal fatto che l’equilibrio trovato da Blatt da Gennaio in poi prevedesse poco tempo fuori dalla panca per la pg di riserva, dal momento che spesso era LBJ a iniziare le azioni dei Cavs quando Irving rifiatava. Ora nei Playoffs, quando serve anche spirito battagliero (e Dellavedova ne ha a tonnellate), Matty ha trovato campo e occasioni, arrivando nella notte di gara6 alla sua miglior prestazione stagionale. Dei Bulls potremmo dire che hanno pagato l’assenza di Gasol, e che di certo sono stati eliminati in modo perentorio, venendo abbastanza dominati nel complesso di gara5+6. Però dovrebbe prevalere l’ottimismo, perchè aggiungere un tiratore che dia anche garanzie di atletismo (non come Dunleavy) non dovrebbe essere difficile, così come individuare un omone che possa compensare i difetti offensivi di Jo-No. Inoltre, Rose ha giocato grandi Playoffs: certo, ha ribadito le brutte precentuali di tiro della regular season, ma il semplice fatto che abbia giocato senza risparmio o esitazione alcune è frutto di gioia per qualunque appassionato di basket. Ecco, forse il coach…..non siamo certi che Thibodeau sarà sulla panca Bulls il prossimo anno. Ultima parola per l’altro coach: al cospetto di quello che è considerato uno dei guru (assitente di caoch K. in team USA, per dirne una) del coaching USA, in particolare per la difesa, l’ex Maccabi ha dimostrato di saperci fare, un “pochino”. E qui in Europa conosciamo tutti la sua abilità nel farsi strada da underdog e con giocatori infortunati. Hawks avvisati..

WESTERN CONFERENCE

Golden State Warriors (1) – Memphis Grizzlies (4). Anche questa serie viene chiusa alla sesta, GS avanza. Sul campo dei Grizzlies è autoritario l’inizio di Golden State, che si porta in doppia cifra di vantaggio abbastanza presto e abbastanza facilmente. La banda di Joerger, però, è della categoria “brutti, sporchi, cattivi (agonisticamente)”. Rientrano a -4, e coach Kerr chiama un Time Out che, secondo il vostro umile cronista, dovrebbe esser citato ad esempio nell’introduzione di stampo emozionale (concetti, ritmo e tono di voce), per calmare i suoi: sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, che sarebbero rientrati, vero? bene, allora tranquilli riprendiamoci e giochiamo…e poi i consigli tecnici e tattici. La rimonta dei Grizzlies si fermava, stabilizzando il distacco a 4-5 punti, ma il pubblico di Memphis, alla fine del terzo quarto, stava per assistere a uno dei “turning moments” più bizzarri della storia. Ultimi 3 secondi, Jeff Green compie il classico movimento in terzo tempo da metà campo per un Hail Mary Shot, una cosa vista migliaia di volte. Viene “contenuto”, nel senso che la difesa di GS è particolarmente aggressiva per essere un momento in cui chi difende ha solo da perdere nel fare fallo: e forse fallo viene commesso, su Jeff. Sia come sia, il tiro è deflettato, la palla finisce a Steph che tira da metà campo e imbuca. Il +8 così generato rimarrà il distacco principale di tutto il quarto periodo, sancendo l’eliminazione dei Grizzlies e l’avanzare di GS alla prima Conference Final da 40 anni a questa parte (1975-76). Sugli Warriors non aggiungiamo altro, se non che Steph Curry ha giustificato il suo MVP tirando fuori i compagni da un momento brutto, quando, ancora sul 2-2, Golden State non riusciva a trovare il prorpio vero ritmo: nei momenti duri tutto è stato sulle spalle di Steph, che ha sopportato e guidato. Memphis difficilmente poteva fare di più, ha regalato un po’ di sogno ai propri tifosi violando la Oracle Arena e ora è attesa dal momento decisivo dei prossimi 4 anni della franchigia: il rinnovo, o meno, di Marc Gasol.

Houston Rockets (2) – Los Angels Clippers (3). Otto volte una squadra ha rimontato da 1-3 per andare a vincere la serie. In tre occasioni quella squadra ha poi vinto il Titolo. Due volte la protagonista furono i Celtics (1968 e 81), la terza furono proprio i Rockets edizione 1995, rimontando ai danni di Phoenix per arrivare all’Anello battendo i Magic (dando vita al Back-to-Back ’94+’95). A questa cabala, ma non solo, si afferrano i Rockets. Da questa cabala, ma non solo, sono atterriti i Clippers. La cosa peggiore è che i Californiani hanno scoperto di non essersi affrancati dalla sindrome di Paperino che li attanaglia. In gara6 hanno perso dopo essere stati avanti di 19, hanno perso contro Houston che era 0-10 nella storia dei Playoffs quando si era ritrovata sotto di 10 (o più) all’inizio dell’ultimo quarto. Hanno perso scoprendo che non solo CP3, ma anche Blake Griffin può fallire occasioni facili. Hanno perso la loro quarta partita nel record di quelle che avrebbero potuto condurli alla Finale di Conference (che infatti non hanno mai giocato). Hanno scoperto che Doc Rivers è un grande allenatore per costruire vantaggi, ma non per mantenerli, come ben sanno a Boston. E, nell’incrocio di destini e geografia che rende emozionante la NBA, hanno perso quando Kevin McHale si è liberato della sua identità da coach milionario e ha rispolverato il suo mindset da fighter biancoverde: lasciati in panca il fighetto Harden e la starlette Howard (capace di un Flagrant1 e di un tecnico in rapida successione) ha sguinzagliato la Banda della Fascia in Testa. L’esteticamente inguardabile trio Terry-Brewer-Smith, assistiti dal marine Ariza e da Terrence Jones (attualmente la cosa più simile a Tristan Thompson sul pianeta) ha seppellito di triple e difesa i Clippers, e il trascinatore è stato Josh Smith: ha messo in opera una di quelle rare partite per cui viene tanto pagato, annichilendo Griffin (fin lì esemplare e titolare di uno dei canestri più belli e difficili di sempre, un 360 gradi lay-up con veronica degno di Nureyev) su entrambi i lati del campo. Ora tutte le paure, la pressione, i karma negativi sono sulle spalle dei Clippers, e i Lakers, maligni, han già spedito la fattura dell’affitto di Giugno……