Seconda giornata di NBA Playoffs.

8 squadre: 2 commoventi, 1 amara delusione, 1 dimostrazione di forza, 1 dimostrazione di determinazione, le altre 3, sia vincenti che perdenti, hanno fatto in pieno il loro dovere.

 

Lo spazio centrale sulla locandina spetta ai Celtics, W in OT sui Bucks (113-107). No Hayward, no Kyrie, no Smart: Boston continua a sorprendere per la capacità di superare ogni colpo della sorte. Sono la squadra ridotta peggio delle 16 partecipanti ai PO, eppure sono la squadra migliore: meglio allenata, miglior gioco di squadra, amore per la competizione. Stanotte possiamo lasciare da parte i primi 37 mins, segnalando solo che, incredibilmente data la forza del giocatore, questi sono i primi PO per Eric Bledsoe, la pg dei Bucks. Fino al 37’ gara equilibrata, vantaggi esigui per entrambe le formazioni: i Celtics si presentano ai minuti decisivi con il 40% dal campo (solo Jaylen Brown al 50% con 7/14), i Bucks con 17 perse (alla fine 20), abbarbicati attorno allo Pterodatillo Greco (35-13-7 con 3 rec) e al sempre positivo Middleton (31-8-6 con 5/7 da 3); Bledsoe, invece, travolto dal nervosismo (9-4-4 con 4/12, e rapporto assists/perse negativo a -0,8). Boston ha vantaggio fisico in alcune marcature: Horford marcato dal Greco e uno tra Brown-Tatum-Morris finisce sempre con Middleton o Brogdon; palla spesso nel pitturato per i Celtics dunque, e alla fine Horford (24-12-4, 2 rec, 3 stoppate) uscirà dalla contesa con 14 liberi e Antetokounmpo fouled-out. Due volte sembrava fatta per Boston, la prima sul +10 (86-76) a 4:50 da giocare: i Cerbiatti rimontavano a -2 per 3 regie mal condotte da Rozier; la seconda, dopo una tripla in step-back semplicemente stupenda di Rozier per il 99-96 con 5 decimi da giocare. Lì sono stati puniti dal triplista Middleton, su cui forse Jaylen Brown poteva difendere meglio. Il supplementare (in stagione Bucks 3-3, Celtics 2-2) iniziava con Boston sotto shock: 2 schiacciate indisturbate del GreekFreak e un comodo lay-up di Brogdon facevano immaginare che i Bucks potessero calpestare i ragazzi di Stevens, che invece si riprendevano, sigillavano il canestro e andavano a vincere sulle spalle di Horford e Morris (21+7 dal pino), senza dimenticare il vitale apporto dei tre ragazzini: impressionante la maturità raggiunta da Rozier-Brown-Tatum, 65 anni in tre. Tatum è il primo Celtic dal 1981 a terminare in doppia-doppia (19-10-4, 3 rec) il primo match di PO giocato: allora fu Kevin McHale.

Il nome immediatamente sotto ai Celtics è quello dei Timberwolves di Tom Thibodeau, che hanno messo paura ai Rockets (104-101, il secondo half lo ha vinto Minnie 54-50). Minnesota non è una vera ottava della classe ad Ovest: hanno rischiato di non fare i PO a causa dell’infortunio di Butler: senza, sarebbero stati terzi con comodo. La gara ha mostrato Harden davvero enorme: 44-4-8 con 7/12 da 3. L’ultimo dato è il principale, perché Houston vive di triple ma era in serata orribile: sul finire del secondo quarto 2/16, poi migliorato da un 8/21 a seguire. Che la Barba fosse invece ben registrata oltre l’arco ha infuso certezze ai compagni. Siamo tentati di dare ad Harden due terzi della produzione di Capela (24+12 con 3 stoppate): lo Svizzero è incredibilmente migliorato, ma deve pagare tutti i pasti e l’università dei figli di JH. Come sempre nei PO Chris Paul inizia a sparire: i suoi 14-3-4 sono manna però in confronto al 22-18-2 messi insieme da tutti (TUTTI) gli altri 6 Razzi scesi in campo, tra cui si salva solo Nenè, buon impatto nell’agire da cambio di Capela. Se HOU ha giocato in 4, lo stesso si può dire dei T’Wolves, in cui le rotazioni sono state ancora più ristrette: solo 7 giocatori con minutaggio  sopra ai 15. Jimmy-B ha sparacchiato (4/13) ma ha difeso discretamente su Harden (anche se di sé dirà il contrario a fine gara), Towns ha fallito la prova (8+12 con solo 9 tiri tentati), mentre i migliori sono stati Wiggins (18+6) e un redivivo D-Rose (16-2-4 in 24 mins, MVP di Minnie): la notizia non è banale pensando ai problemi infiniti della Rosa e all’animo non proprio da lottatore di Wiggins.

Anima assente a Cleveland: i Cavs e LeBron han mostrato la faccia amara del basket, quando si pensa di vincere solo grazie al nome e alla facciata. 24-10-12 è la tripla-doppia con cui vi venderanno che il povero LBJ non ha contorno: la verità è che fin dalla prima azione è mancato il piatto principale, ovvero lui. Occupato ad asciugarsi platealmente le mani dopo una persa sciocca, a non tornare in difesa anche quando è lui il più vicino al Pacer in contropiede: il solito campionario indisponente. I Cavs, pur difendendo orribilmente, avevano chiuso la RS 11-3 segnando quasi 120 di media con un quintetto rinnovato (Osman dentro, JR Smith in panca) che invece è stato sconfessato nell’esordio dei PO: Osman 2 mins totali, Hood in quintetto, Smith con minutaggio preponderante nonostante il pino; cose che hanno il gusto dell’intervento lebroniano, e non son stati cambi positivi. Indiana, concentrata, è andata in fretta a +20 (30-10 nel primo quarto) toccando anche +23: nel secondo tempo, tipica paura di vincere, si è fatta erodere il vantaggio fino a un +7 nella prima metà del quarto periodo. Pur avendo riaperto la partita (buon apporto energetico di Love, 9+17) è riemersa la mancanza di anima dei Cavs: Oladipo (32-6-4 con 4 rec e6/9 da 3) riprendeva in mano la questione insieme a Lance il Matto (12+5 e tanto psy-ops), riaprivano 15 pti di divario (98-80 il finale), e LBJ se ne usciva dall’arena mentre i suoi compagni stavano ancora giocando gli ultimi 14 secs: è un Re questo?

Nella quarta gara vince OKC su Utah, nonostante Westbrook abbia cercato (0/4 da 3, 40% dal campo, rapporto assists/perse ampiamente inferiore a 2) di provare a perderla, è tornato a dettare legge il primigenio soprannome di Paul George: Playoff-P (36+7 con 8/11 da 3). Insieme alla bella prova di Abrines (11 con 3/5 da 3 e miglior +/- dei suoi a +14) hanno tenuto a bada (116-108) la rocciosità dei Jazz, capaci comunque di vincere il quarto periodo, quello in cui, dopo una gara in cui le difese (OKC e Utah entrambe tra le prime 5 della NBA) avevano dato il ritmo, gli attacchi si erano scatenati (36-35 il parziale). Il co-MVP della gara è stato Donovan Mitchell: strepitoso ragazzino da 27+10, 50% dal campo e solo 1 persa; non esistesse Ben Supremo Simmons, DM sarebbe il ROY 2018.