Fari su Boston per questa notte di NBA PO: sarebbe stata la nostra scelta in ogni caso, a maggior ragione dopo quanto successo prima del match.

TD GARDEN, BOSTON. CHICAGO BULLS 106 – BOSTON CELTICS 102

E alla fine è successo. Quello che speravo e che temevo, e tanti con me: Isaiah Thomas è sceso in campo. Tutti noi tifiamo una squadra, magari una in Italia, una in Europa e una nella NBA, e più o meno un paio di volte a stagione sarà successo di pensare: ti prego ti prego ti prego, se mette questi liberi non mangio più la carbonara a mezzanotte. E’ abbastanza evidente a chi sia rivolto quel “ti prego”, ma non è una cosa seria. Non è una vera preghiera, ma una superstizione, uno scongiuro, un fioretto con dentro quasi tutto quello che il nostro catechista, da piccoli, ci ha insegnato a non fare, nei confronti del Cielo. Bene, indipendentemente dal tifo e dai fioretti, stanotte ho pregato sul serio. Era una preghiera vera. Ovviamente non esaudita, ma non significa non ascoltata. Preghiera che quel coraggio venisse anche ripagato dalla W. Lo sport è letteralmente disseminato di figure e azioni che hanno percorso gli stessi struggenti sentieri che IT4 ha percorso scendendo in campo vs i Bulls. In una cosa è stato diverso, Thomas. Non ha pianto prima o dopo (o forse sì), ma ha pianto durante. Lacrime durante la routine di riscaldamento, con il componente dello staff che continuava a raccogliere e passargli il pallone. Passaggio, tiro, pallone, passaggio, tiro, pallone. Quelle lacrime hanno fatto, umanamente, sentire Charles Barkley “uncomfortable”, ed è una reazione che non condivido ma capisco. Perché speravo e temevo. Speravo perché in qualche modo ero certo che sarebbe sceso in campo, e che fosse la cosa giusta. Temevo perché le emozioni forti sono attese ma anche temute, dagli umani. Alcuni umani sono un po’ speciali, e stanotte si è visto parte di quel motore che spinge un nanerottolo più basso di me, scelto per sessantesimo su sessanta al Draft, a diventare la pg dei Boston Celtics e candidato al MVP, a battere o sfiorare records che portano appiccicati i nomi di Larry Bird o Paul Pierce o John Havlicek. E’ un po’ più chiaro, ora, come e perchè uno dei suoi migliori amici sia Floyd Meryweather, il pugile, l’ultimo a meritare il Titolo di Campione dei Campioni. E’ un po’ più chiaro come IT4 sia sbocciato a Boston, città che ha dato i natali a DeMarco, Marciano e Hagler, tanto per continuare sul binario “fighters”, colpita anche di recente (proprio 4 giorni fa è passato il quarto anniversario dell’attentato alla Maratona) ma sempre riemersa, franchigia che ha convissuto con le tragedie: Len Bias, Reggie Lewis. E ora una sorella morta a 3000 miglia di distanza, all’altro capo degli USA, e un fratello che piange mentre fa il riscaldamento. Thomas ha segnato 33 pti, 13 nel primo quarto, che ha vissuto quasi per intero venendo chiamato a riposarsi quando mancavano 50 secs alla prima sirena piccola. Lì stavo già pregando da parecchio, ma poi ci sono anche le cose tecniche, e dicono che le due squadre hanno tirato entrambe al 43%, ma i Bulls hanno avuto 5 tiri in più, figli di 17 rimbalzi in più, perché i Celtics gliene hanno lasciati 20 nel proprio pitturato. 20 reboff dei Bulls mettono sotto i riflettori Gemello Robin (14+11, 8 offensivi) e RR, ex Celtic un po’ fischiato ma sottosotto ancora tanto amato (12-7-6, 4 reboff), e mettono in evidenza anche che Al Horford sta prendendo molto seriamente il ruolo che nei Celtics coach Stevens ha creato per lui, quello di “point-center”, di playmaker aggiunto (8 assists). Forse troppo seriamente (solo 7 rimbalzi) perché i suoi 6.8 rimbalzi di media in stagione sono il dato più basso per uno starting center di squadre ammesse ai PO, se si escludono figure tipo Zaza Pachulia, nettamente inferiore per talento, o Marc Gasol, ormai scarso frequentatore del lato cattivo del pitturato. Ai 33-5-6 di Thomas han risposto i 30-9-3 di Jimmy-B e, dal pino, i 19-9-3 di Bobby Portis, uno che nella ultima visita al Garden, seconda settimana di marzo, aveva mancato, sotto ai miei occhi, di prendere almeno il ferro nei primi 7 tiri tentati. Poco produttiva anche la panchina dei Celtics: al di là di percentuali e bottini, sono davvero pochi i 23 tiri tentati dalle riserve rispetto agli 86 totali dei biancoverdi: segnale della difficoltà a raccogliere attacchi quando IT4 è fuori dalle tavole. Bulls ora col fattore campo, ma il loro 25-16 casalingo in regular-season dice che lo United Center non è corsari-proof.

 

VERIZON CENTER, WASHINGTON. ATLANTA HAWKS 107 – WASHINGTON WIZARDS 114

A 3 mins dalla fine del primo half, Washington era sotto di 6, nel mezzo di un parziale di 17 – 2 favorevole agli Hawks. In quel momento Atlanta aveva tirato già ben 22 liberi (19 a segno), contro il magro 6/6 degli Wizards; ancora più impressionante che Atlanta avesse 11 falli, e Washington 13: non una gran differenza, anzi regalava la certezza che Capitol City avesse sempre fatto fallo sui tiri degli avversari, perché creare 22 liberi da 13 falli commessi non è certo facile. Il -3 con cui Wall e compagni andavano a riposarsi era dunque un buon segnale, e nel terzo quarto la aggressività Wizards veniva meglio indirizzata, creando il 38-28 che si rivelerà decisivo. A proposito dell’aggressività capitolina, Paul Millsap (19-2-1), secondo miglior Falco dopo Dennis-Deutscheland (25-3-9), dichiarerà: “noi giocavamo a basket, loro a MMA” (arti marziali miste), per dire sia che i refs potevano arbitrare meglio, sia che i compagni non hanno avuto il giusto approccio. A proposito di compagni: Dwight Howard (7+14) è una delle poche eccezioni al Teorema-Gortat, perché è uno dei pochi in circolazione a difendere peggio del Polacco (14+10) sul globo terracqueo. John Wall (32-4-14) e Gemello Markieff (21-7-2 con 4 stoppate, davvero sontuoso) hanno creato il solco, Bradley Beal lo ha difeso (12 dei suoi 22 nel quarto periodo). Wizards dunque vincenti in una occasione che la città attendeva da 38 anni: da tanto infatti non ospitava una gara1 di PO in casa, 38 anni senza il vantaggio del fattore campo.

 

TOYOTA CENTER, HOUSTON. OKC THUNDER 87 – HOUSTON ROCKETS 118

Se volessimo considerare questa Gara1 tra OKC e Houston solo come il confronto tra i due più accreditati candidati allo MVP 2017, dovremmo dire che non esiste storia. Russell Westbrook è andato in doppia-doppia (22+11) e vicino alla tripla doppia molto più alle palle perse che agli assists (9 vs 7), il tutto tirando al 26% dal campo. Harden, invece, ha scritto 37-7-9, con 13/28 e 2 perse. La differenza tra loro è stata molto più marcata che quella tra i loro compagni. In una nottata in cui Gordon e Williams sono stati abbastanza silenti, il vero fattore in più per i Rockets è stato il Principe dei Bulli, Beverley (21-10-3, compreso un 4/6 da 3, per lui che fino a poco tempo fa sul perimetro era tranquillamente battezzabile dalle difese). PB è stato protagonista dell’azione che ha cambiato l’atmosfera, fino a quel momento tranquilla per una gara di PO, e l’inerzia, favorevole ai Rockets ma nell’ambito di una gara equilibrata. Beverley è stato steso da un blocco di Steven Adams, un’azione borderline tra legalità e omicidio, lasciata passare dai grigi. Rialzatosi non sorridendo, non ridendo, ma addirittura ghignando, la pg dei Rockets si è accesa per scavare da solo il primo solco del baratro che avrebbe da quel momento in poi inghiottito OKC. L’impressione è che con questo primo round i Rockets si siano messi in tasca molto più che un quarto della qualificazione.

 

ORACLE ARENA, OAKLAND. PORTLAND TRAILBLAZERS 109 – GS WARRIORS 122

I Blazers, aveva detto il loro totem Lillard, avrebbero vinto la serie 4-2, il che significa che D-Lill pensa di rubarne una subito a GS e poi di conservare il vantaggio. Stanotte Portland ha iniziato il quarto periodo sul pari 88. Avanzamento rapido a 6:38 alla fine del quarto periodo, quando CJ McCollum imbuca una tripla: bello, ma il punteggio è 103-93 per gli Warriors. Esclusa quella tripla, Golden State nei primi 5:22 mins del quarto decisivo ha avuto parziale favorevole di 15-2, tenendo i Blazers a 1/12 e 4 perse, e, di quegli 11 errori al tiro, 3 erano stati air-balls disperati. Una difesa incredibile, la personificazione della parola “asfissia”, portata avanti da coach Kerr con Steph e KD in panca, e in campo Ian Clark-Klay-Iggy-West-Draymond Green. Proprio Dray-G (19-12-9 con 3 rec e 5 stoppate, più tutti gli intangibles immaginabili e l’esaltazione del suo coach: “avete mai visto qualcosa di simile nei PO?”) è il migliore della Gara1, perché presente in attacco ma devastante in difesa e come leader emozionale di una squadra che, inutile negarlo, qualche timore l’aveva, vista la resistenza incrollabile di Portland (priva di Nurkic). Un ulteriore dato sulla gara di Green: i suoi avversari più diretti, Vonleh ed Aminu, hanno combinato, in 46 mins totali, per 2-8-4 con 1/10 al tiro e 4 perse. I Blazers sono crollati nel momento in cui coach Stotts ha riposato McCollum (41-8-1 con 16/28) e Lillard (34-5-3). I momenti e le durate dei riposi di Dame sono stati, soprattutto quest’anno, oggetto di discussioni (mai troppo aspre invero) tra il giocatore e il coach, ma è evidente che ha ragione Lillard: i Blazers devono averlo in campo almeno un paio di minuti all’inizio dei periodi finali, per dare una impronta, poi può anche stare in panchina fino a 7 o 5 mins dalla fine. In ogni caso, visto che non solo di difesa vive GS, Steph 29-4-5, KD (che ha sempre un trainer attorno al ginocchio quando è in panchina) 32+10, e Ian Clark 12, con 4/5 al tiro di cui 2/2 da 3; Clark, un mirtillo dei nostri, nell’arco della stagione è stato meno determinante ed è migliorato meno di quanto avevamo scommesso in pre-season, tuttavia ha un conto aperto vs i Blazers: prima di questa gara contro di loro aveva 23/30 al tiro, di cui 9/13 da 3…aggiornate a 27/35 e 11/15. Per i Blazers importante doppia-doppia di Evan Turner (12+10), che a lungo ha aiutato le sue due eccezionali guardie con le sue improvvisazioni da sf old-school in post basso.