Gara6 di Western Conference Semifinals: Spurs vs Rockets, era questo il programma stanotte.

San Antonio era in testa nella serie 3-2.

34 passaggi del turno, 162 eliminazioni per una percentuale di successo del 18%: nella storia dei PO NBA sulle serie di  7 partite era questo, fino ad ora, il destino delle squadre che, come i Rockets, erano uscite sconfitte da una Gara5. Aumentate di 1 le eliminazioni.

 

TOYOTA CENTER, HOUSTON. SA SPURS 114 – HOUSTON ROCKETS 75

Pensate alle volte, Suns e Knicks, che le squadre di Mike D’Antoni hanno avuto grandi stagioni e grandi PO per poi fallire le gare decisive. Poi pensate ai 20+ anni di consecutive post-seasons di Pop. Ancora: pensate alla differenza di efficienza fisica che oramai, data l’età, divide Harden e Ginobili, e poi alla stoppata di Manu sulla Barba per sigillare Gara5. La differenza è tutta lì. La durezza della mente degli Spurs. Si presentano all’Arena dei Rockets senza il miglior giocatore, no-contest, della squadra, Kawhi Leonard scavigliato e alla fine tenuto in borghese dallo staff di SA, e senza Tony Parker, la pg titolare, fuori dal finale di Gara3 con un infortunio che forse ne chiuderà la carriera. A Houston manca solo Nenè. Pop promuove in quintetto un sostituto naturale di Kawhi, il superatleta Jonathon Simmons (ma poteva anche andare con Kyle Anderson), e non stravolge, in gara decisiva, le dinamiche del quintetto: non lo alza e non lo abbassa, al di là delle ovvie differenze tra Leonard e Simmons. D’Antoni invece mette per la prima volta in quintetto Eric Gordon (probabile Sesto Uomo of the Year), che in stagione ha visto lo starting5 solo nelle occasioni in cui Harden o Beverley non erano disponibili, e mette in panca Ryan Anderson, abbassando notevolmente il quintetto. Pensate a LaMarcus Aldridge, finora, a dispetto del mantenuto status di AllStar, in due stagioni forse lo Sperone globalmente più deludente (in relazione alle aspettative con cui era giunto da Portland): sfodera nel momento del bisogno la sua prova migliore del biennio (34+12); e pensate poi a James Harden (10-3-7 con 6 perse, 2/11 dal campo, poco aggressivo come mostrano i soli 6 liberi tentati e primo paniere e metà del secondo quarto), che dopo un anno in cui probabilmente ha meritato di esser lo MVP stagionale, infila la peggiore prestazione proprio nella partita decisiva. Quando il talento è circa pari, la differenza è nella testa, e nella tradizione, e nella cultura, e nella abitudine a fare la cosa giusta al momento giusto. In tutta la gara i Rockets sono stati avanti solo una volta, di un possesso, a inizio primo quarto, poi è stato dominio San Antonio. Il doppio lungo degli Spurs (LMA+Gasol, con rari inserti di David Lee), ha fatto polpette del quintetto bassissimo dei Rockets, con il solo Capela a battersi nel pitturato. Il giovane svizzero ha chiuso con 15+12 e ben 14 liberi tirati, infilandone 9: nella stagione da rookie imbucò il suo primo libero solo al tentativo numero 16, se ben ricordo, segno che è uno su cui poter contare anche per la dedizione al Gioco e la voglia di migliorarsi. Stanotte ha lottato contro le pale dei mulini che nel pitturato degli Spurs gli negavano ogni visione, facendolo finire a 3/11 dal campo: “potenza” di un solo, apparentemente semplice cambio di quintetto nella gara decisiva.

La panchina degli Spurs ha totalizzato 28-28-13, quella Rockets, di solito assai produttiva ma privata di Gordon e dotata di Anderson, 17-12-1. Anderson, con le per lui insolite prospettive dal pino, ha tirato 0/6 accumulando il peggior plus/minus (-30) insieme a Beverley. Proprio Beverley (7-4-4 e solo 2 falli), di solito la faccia feroce dei Rockets, è rimasto innescato senza esplodere mai, impossibilitato dal dominio Spurs a creare, anche solo con un tentativo di rissa, qualsiasi scintilla con cui invertire i destini della gara. E a proposito di cultura e abitudine, ma anche del necessario talento e infine, un po’, della nostra capacità di segnalarvi chi tenere d’occhio, Pop ha buttato nella mischia ancora senza paura il rookie Murray (the next Kawhi, anche se gioca pg), che lo ha ripagato risultando il migliore dei suoi dal pino, con la prima doppia-doppia in carriera (11-10-5 con 2 rec e 1 stoppata), ottenuta (durezza mentale per semplice osmosi vivendo nello Spurs-habitat) nei PO in una gara decisiva. James Harden, Mike D’Antoni e gli Houston Rockets lasciano i PO con onore, e dopo aver riportato ai vertici la franchigia dopo la stagione orribile 2016. Per La Barba questo è stato in realtà il terzo anno di un certo progetto, per il coach il primo: questa non corrispondenza di scadenze (e di date di contratto, e di frenesie e ambizioni personali) è un dato di cui il management di Houston deve tenere conto fin da subito, aggiungendo i pezzi che servono, soprattutto nel pitturato e in certe sedie della panchina, senza dimenticare che Ariza (miglior Razzo stanotte, 20-5-1), uno dei perni della difesa e grande equilibratore dell’attacco, ha 32 anni e che una pg un filo più classica di Beverley è necessaria, nonostante Harden faccia tutto e benissimo nel back-court. Gli Spurs vanno avanti, troveranno come tutti si attendevano i Golden State Warriors: Kawhi avrà tempo per guarire fino a Domenica, ora italiana 21:30. Quel che prima era “poco dormire”, sta per diventare “addio sonno”, cari appassionati.