Oggi scopriamo chi occupa il posto 5 nel nostro Power Ranking.

EASTERN CONFERENCE #5: ATLANTA HAWKS. Togli Teague e Al Horford e metti Dwight Howard: pare il riassunto di un tracollo, ma potrebbe anche non essere così. Negli ultimi due anni, sotto la guida di coach Budenholzer, gli Hawks hanno messo da parte l’aurea mediocritas che li aveva avvolti dopo l’era-Nique, e sono diventati un team e una franchigia che crea e distribuisce talento, e sul talento scommette. Molto dipende dalla luna di DH, dalle partite che riuscirà a NON saltare per infortunio (o per paura di un infortunio); dalla versione che sarà di se stesso, Barbie o Superman; dalla capacità di tornare quello di Orlando almeno nella metà difensiva del campo, cioè uno da 3 stoppate a gara, ora che è scivolato ben sotto le due di media; se saprà, in attacco, fornire non tanto i punti quanto il sale in zucca che Horford infondeva profusamente. Molti SE, uniti a quello, meno maiuscolo, sulla leadership di Dennis Schroeder. Quando hai in squadra due talenti come Teague e Dennis-Deutscheland, inevitabilmente il meno giovane prima o poi farà i bagagli per vedere dove può arrivare il più giovane (nella NBA giovane = a pari talento mi costi molto meno). Il momento è stato questa estate. Come molte formazioni, gli Hawks hanno i loro “se” concentrati su play+pivot, ma sono dubbi meno evidenti che per altri. Inoltre, sono del tutto blindati nei reparti intermedi. Paul Millsap continuerà a fare TUTTO, come conviene al giocatore forse più mediaticamente sottovalutato della NBA; Korver e Jack forniscono tiro e imprevedibilità da campetto, punti nel sistema e punti fuori dal sistema; Jack può guardare le spalle a Schroeder ma anche giocargli insieme senza rubargli minuti. Bazemore è ormai più di una promessa: difende come pochi e gioca sia con Millsap che da suo cambio. Sefolosha darà difesa e Mike Scott anche, se riuscirà a stare fuori dai guai e dalla galera; Hardaway jr dovrebbe portare tiro, e dovrà decidere se dare fondo al proprio talento o restare in eterno uno MVP di D-League. I rookies Bembry e Prince sono molto simili, e possono entrambi fregiarsi di un ottimo curriculum da potenziali sf “à la” Jae Crowder. Tornando allo spot di centro ne segnaliamo la profondità: DH è coperto da Splitter, Humphries e Mike Muscala, tre bianchi dalle caratteristiche diverse e a loro modo complementari. Tutto questo dice che gli Hawks hanno talento e sono profondi, e la guida è solida e di vaglia: secondo noi faranno più fatica nell’accedere ai PO (Quinti? Ottavi? Terzi?) che non a ben figurare in essi. PAYROLL: il risparmio derivato dalla partenza di TT è stato annullato dai dollari dati a DH (milioni 23,5 annui fino al 2019); in 7 andranno in scadenza quest’anno, liberando in teoria quasi 30 milioni. I nodi cruciali saranno i rinnovi di Schroeder e Millsap, in scadenza fra due anni: dunque bisognerà cominciare a parlarne fin da ora. Nel complesso però, dato che il monte stipendi dei Falchi è solo il 16’ della NBA, la situazione può volgere a favore di un progressivo miglioramento senza lasciar andare i più forti.

WESTERN CONFERENCE #5. MINNESOTA TIMBERWOLVES. Ci prendiamo una grande scommessa, ma nominiamo i Lupacchiotti a maggior sorpresa della futura stagione NBA: sì, compiranno la trasformazione in Lupi. Diamo credito a coach Thibodeau, appena arrivato col suo fare burbero da pater familias anni ’20, di poter fornire al talento dei T’Wolves la definitiva cornice per esplodere. Il nucleo di Minnesota è LaVine-Wiggins-Towns, cui dal Draft16 si sono aggiunti Kris Dunn e Tyus Jones. Caratteristiche del gruppetto? Dunque: il più vecchio è un ’94, il meno talentuoso è semplicemente principesco, e il più costoso di loro attualmente prende 6 milioni l’anno. La parola futuro è dipinta ovunque a Minneapolis nei pressi del Target Center, ma il futuro inizia ora. Punti deboli? Perimetro: il miglior tiratore della squadra è forse proprio Jones, perché LaVine e Shabazz Muhammad sono capaci di grandi exploits, ma non sono continui; potrebbe essere importante nelle triple il contributo, al suo secondo anno, di Nemanja Bielica, giocatore che adoriamo. Rimbalzi: nessuno dei giocatori di Minnesota è un profeta delle plance, e l’ennesimo (e atteso, noi non avevamo dubbi) forfait per la stagione di Pekovic acuisce il problema e segna la fine della storia NBA del Montenegrino (in 6 stagioni ha saltato la sciocchezza di 241 partite, 121 nelle ultime due, e dovete aggiungere le 82 che salterà quest’anno). Ha detto “addio” l’infinito KG, e lo ha fatto anche per non pesare nel suo “farewell year” sulla concentrazione della giovane squadra. In questo panorama è assai probabile che, dietro al Senegalese Dieng, gran giocatore che può giocare sia con Towns che da suo cambio, abbia molti minuti Cole Aldrich, centrone bianco molto stimato dai più attenti aficionados, il quale nelle ultime due stagioni ha ottimamente figurato in due sistemi e situazioni opposti come NY 2015 e LAC 2016. Completano il panorama Jordan Hill e Adreian Payne nel pitturato e Brandon Rush, e forse Rasual Butler e Kevin Martin tra le guardie: per loro due dipende molto dalla voglia, e dalle proposte finanziariamente non pareggiabili della Cina. Se volessimo dire un nome che sorprenderà tutti, scegliamo quello del piccolo Tyus Jones: carattere e tiro non gli mancano, il che è già il 75% di una moderna pg NBA. Finora non abbiam menzionato Ricky Rubio: il timone della squadra è suo, e alcuni avvenimenti personali come la recente perdita della madre pare gli abbian fatto perdere l’aura di eterno ragazzino, cosa che sul campo potrebbe essere un vantaggio; il posto del Catalano è sicuro, ma con pari ruolo alle spalle come Dunn e Jones e occasionalmente LaVine, diremmo che questo, per il RR spagnolo, è l’anno dell’obbligo di passare da buono ad ottimo. PAYROLL: per ora tranquillo e sotto controllo, era il quinto più basso della NBA, e potrà godere della transazioni dei contratti di Garnett (sicuro) e di Pekovic (probabile); contemporaneamente i discorsi di rinnovo per i cinque ragazzi-meraviglia possono aspettare due anni.