NBA Recap all’insegna del “ve lo avevo detto”.

Alcuni seguono la NBA su Baskettiamo da qualche anno, altri da meno tempo. Un “Ve Lo Avevo Detto” recente riguarda una notizia che esula dal campo. La NBA conferma di voler entrare pesantemente nel circuito della formazione delle giovani leve, per liberarsi degli scandali NCAA e del lavoro ormai non ottimale svolto dal basket collegiale. Come anticipato, chiave di questo impegno saranno le franchigie della G-League: la notizia è che ora potranno offrire contratti da 125mila dollari a “prospetti selezionati”, che non intendano passare per il college e che dovranno aver compiuto 18 anni entro il 15 Settembre di ogni anno, ovvero circa un mese prima dell’inizio della Regular Season. Che la NBA facesse maledettamente sul serio era confermato dall’aver creato una apposita Commission on Collegial Basketball e dal fatto che a capo di questa fosse stata insediata Condoleeza Rice, ovvero la seconda donna (dopo Madeleine Albright) e la seconda persona di colore (dopo Colin Powell) ad esser stata Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America (2005-2009). Primo atto della Commissione: pubblicare una serie di conclusioni tra le quali: i giovani giocatori “non dovrebbero essere obbligati” a frequentare un college per diventare professionisti. Dopo questo, il secondo passo dovrebbe quasi certamente essere, da parte della NBA, preoccuparsi dell’educazione scolastica dei ragazzi in questo modo selezionati.

Col secondo VLAD andiamo finalmente in campo: Caris LeVert è materiale cestistico finissimo. Carriera universitaria a Michigan U, tarpata da infortuni a ginocchia e piedi, infortuni che hanno minato anche i primi tempi nella NBA del ragazzo da me definito Next Livingston (anche per la sfortuna): ora che è più o meno sano da 8-10 mesi consecutivi sta mostrando davvero tutto il proprio potenziale. Ha segnato il canestro del 107-105 con cui i Nets hanno vinto il derby vs New York. Brooklyn aveva rischiato di compromettere la W concedendo (colpa di D’Angelo Russell, 15-5-6 con 4 perse) un And1 ad Enes Kanter (29+10 col 66% al tiro) sul 105-102, ma l’ultima azione di CLV ha rimesso le cose a posto: pur equilibrata, infatti, la gara era stata condotta principalmente da BKN; sono solo due gare, ma LeVert sta viaggiando a 27-5-5 di media, col 58% dal campo. Rimaniamo ad Est per il KO di Boston in casa dei Raptors: si tratta della 11ma volta che i Celtics tornano a casa da Toronto sconfitti sugli ultimi 12 viaggi. Stavolta hanno condotto fino a metà del terzo quarto, poi hanno progressivamente lasciato i Raptors prendere vantaggio, e il +12 finale è in pratica il massimo svantaggio. Prima della gara molto spazio ai due allenatori: Nick Nurse è una mente davvero raffinata, molto simile al collega Stevens per approccio al gioco. Entrambi non parlano di ruoli se non tra interni ed esterni, ed entrambi non amano la parola smallball, correggendo spesso i giornalisti con l’uso del termine skillball. Il loro duello si è svolto principalmente in difesa, e uno dei giocatori-chiave è stato Serge Ibaka, riportato in quintetto. Ibaka è un ex grezzo stoppatore trasformatosi quasi in una sf ormai, ma proprio per le sue caratteristiche fisiche deve essere affrontato da un giocatore altrettanto fisicamente forte: Al Horford, per esempio. Quando Brad Stevens ha provato ad opporgli un mastino come Gemello Marcus, persino il più vecchio dei gemelli Morris si è rivelato troppo piccoletto per contenere l’avversario ispano-congolese (21+6 e la firma più importante sulla partita). Dall’altra parte i Celtics devono guarire dal peggior difetto, denotato anche in una pre-season a maggioranza di sconfitte: si sentono un po’ troppo bellini e predestinati, oltre a dover recuperare il vero Irving. Kyrie (21-4-6 con il 50% dal campo) si salva con i numeri, ma non col rendimento, in particolare difensivo: è stato spazzato via sia dal Subcomandante Lowry (15-6-6) che dal geniale, miglior back-up pg della NBA, VanVleet (altro VLAD che chiude, da meno di 190 cm, con 11-6-7). Passiamo ad Ovest per due gare pazze. Prima diamo menzione dei 26 (10/16 dal campo) di Gallinari, che tuttavia non è stato l’eroe della W dei Clippers su OKC (ancora senza Westbrook): l’onore va a Tobias Harris, che ha dominato con 13 pti e 4 rebs il quarto periodo (26-10-4 totali). OKC ha perso per colpa di 16 minuti di sciagura: i primi 8 e gli ultimi 8. Nei primi 8 è finita sotto 22-8, dovendo poi rimontare, ma riuscendo persino a portarsi a +9; negli ultimi 8, sopra di 6, ha concesso un parziale di 16-3 che ha di nuovo ribaltato la gara. Il parziale ha preso forma appena la difesa dei Thunder è un po’ scesa di rendimento, concedendo a ClipperTown ben 7 possessi in fila con punti segnati, fra cui una tripla di Mbah’A’Moute (7 con 3/3 dal campo: altra follia estiva di Houston, lasciarlo partire). Molte colpe vanno sulle spalle di coach Donovan: il suo sistema offensivo è talmente poco efficace (palla a George o Westbrook e vediamo che succede) che, non appena, come giocoforza può accadere, la difesa perde colpi, arrivano subito i parziali sfavorevoli. Da segnalare appunto che, dopo aver segnato il punto 20 a 6:45 dal termine, Paul George (20-8-4 con 2 rec), per colpe non soltanto sue, è rimasto a secco fino alla fine. Arriviamo al Miracolo Svedese, ora, scomodando in parte, con quella definizione (perdonate il sacrilegio) anche Pastorale Americana. E’ stato infatti un tap-in di Jonas Jerebko (10+6 con 4/5 al tiro) a completare con 3 decimi rimasti sul cronometro la rimonta di Golden State sugli Utah Jazz. Gara folle perchè, dopo un primo quarto ad alto punteggio (32-34) ma equilibrato, si è trasformata in una sparatoria selvaggia, a ritmi altissimi, coi giocatori spesso a corto di fiato e stracotti, bisognosi di time-out puramente per sopravvivere e non per ragioni tattiche. Dopo 1/11 da 3 nel primo periodo, i Jazz hanno avuto un momento di 14 possessi offensivi (inframezzati da 4 errori) in cui hanno segnato solo 3 punti alla volta: parlo di 12 triple su 16 da parte di 6 diversi giocatori e di due And1 di Gobert.  Durante questo momento di estasi erano molti gli indicatori favorevoli per Utah, eccone alcuni. Quando hanno raggiunto quota 49, 30 di quei punti arrivavano dal pino; Exum (13 con 4/5 in 18 mins), altro giovane massacrato dagli infortuni che ora sembra avere respiro, disponeva in ogni modo di Shaun Livingston; Georges Niang (VLAD) mostrava la sua intelligenza e la sua mira (finirà 8-3-1 con 1 stoppata in 9′ di gioco); Rubio (13-3-10) segnava e distribuiva raggiungendo i 10 assists prima (anche se di poco) dei 10 pti; gli 81 pti all’intervallo erano record di franchigia (il precedente, 80, sempre vs GS nel 1989); il momento perfetto si estendeva al terzo quarto. Metà del terzo quarto: massimo vantaggio a +16. Però gli Warriors, ovvio, non sono i Campioni per caso, e, se han rimontato questa, obbligandosi ad attingere profondamente alle loro energie psicofisiche, significa che hanno voglia di 3-peat oltre ad aver voluto vendicare il -40 rimediato a fine RS 2017, senza Curry. Si sono tenuti a galla con KD (38-9-7 in 40′, 14/25 con 1/1 da 3) e Steph (31-4-8, 13/24 con 5/9 da 3, come vs HOU) che a lungo hanno avuto sul tabellino più punti dei pur molti minuti in campo (per esempio Durant 24 in 18′ con solo 14 tiri), poi, nel momento in cui l’estasi si dileguava rendendo di nuovo umani Ingles (27-4-4 con 7/11 da 3) e Gobert (16+11 con 3 rec e 1 stoppata), hanno eroso punto su punto agli uomini di coach Snyder (che merita più parole di quelle che possiamo dedicargli ora), fino a generare i 29 cambi di leadership e le 15 parità che hanno reso la gara indimenticabile. Ovviamente, visto che si parla della difesa di GS, hanno elevato il loro rendimento anche  Dray-G (messo da Kerr a guardare Rubio: mossa della partita che ha fatto sparire lo Spagnolo dal campo) e Klay, il quale si è dedicato meno a segnare (12 con 4/9) e più a limitare Donovan Mitchell, riuscendoci. Proprio Mitchell è la cattiva notizia della splendida prova fornita dai Jazz: il suo 7/23 dal campo è sinistramente simile al 8/21 della prima gara, e soprattutto è stato zittito completamente nel quarto periodo, lui che, da rookie, era stato il quarto assoluto della NBA nel 2017 per punti nel quarto finale (477). Con queste premesse, la vetrina finale è stata tutta dello Svedese che ha raccolto l’errore di Durant e inferto la ferita dell’ex ai suoi tifosi dello scorso anno: non sarà un fenomeno ma le sue ultime 3 squadre sono state Celtics, Jazz e Warriors, 3 dei 5 migliori allenatori della NBA, il che dice di lui solo cose positive.

Per chiudere, due menzioni. La prima: Kemba Walker, immenso (26-3-5 con 8/16), ha impresso praticamente da solo l’immediata accelerazione (49-31 nel primo half) con cui gli Hornets hanno asfaltato i Magic; la seconda: i New Orleans Pelicans in due gare hanno realizzato 280 pti (131 a HOU, 149 stanotte a SAC). Ci sono molte riserve da poter fare (per esempio i Kings ne han subiti 272 in due gare..), resta un fatto inequivocabile che Mirotic stia viaggiando a 33+9 di media con 11/16 da 3, Monociglio a 28-13-7 con 2.5 rec e 2.5 stoppate, e che dal campo la squadra stia tirando col 56% e il quintetto più Randle col 60%. Verrano avversari più ostici, ma…