Probabilmente sarà ricordato come il derby del megafreddo scritto con il format del brand Segafredo, ma questa stracittadina numero 106, vinta con merito e determinazione dalla corazzata Virtus può essere letta non solo con l’enorme potenziale da una parte e la svilente pochezza dall’altra trasfusi nei 40 minuti all’interno della Segafredo Arena, ma anche con il percorso delle due squadre prima e dopo il 25 dicembre.

Quello che non potrà avere spiegazione sono gli sfottò che restano e l’inesistenza di una Fortitudo che in campo, in questo derby, proprio non si è vista. Per un tifoso è difficile da mandare giù, ma l’economia della stagione per tanti versi ha costretto a scelte: perché se per un tifoso Fortitudo retrocedere con i 4 punti del derby è ammissibile, per una società non può e non deve esserlo.

Partiamo dai perdenti: la Fortitudo, neopromossa, ha giocato un girone di andata che neppure i suoi più positivi sostenitori avrebbero immaginato. Ha tenuto il fattore casa (perdendo una sola partita contro una quotata Brescia) fregiandosi con due stellette quali le vittorie sui campioni di Italia e sulla Milano di Messina. Ha fatto il suo in trasferta vincendo in due campi non impossibili come Pesaro e Cantù (ottimi in chiave salvezza). Quando ha dovuto stringere, coach Martino ha potuto contare su sei-sette elementi (ricordiamo che a Cantù la Fortitudo giocò l’ultimo quarto e il supplementare con gli stessi 5) chiedendo tanti minuti a Sims, Aradori, Fantinelli, Leunen e Robertson a cui si aggiungeva il solo Stipecevic. E bene fece perché dopo Cantù la Fortitudo usufruì del turno di riposo.

Dopo la gara con Trento a inizio dicembre, la Fortitudo con un 7-4 di record può ambire alla qualificazione alle Final Eight (traguardo insperato ad Agosto) con un calendario fitto di impegni quasi da dentro/fuori. Brindisi, Trieste (sempre indigesta), Reggio Emilia sono partite da cui attingere punti per arrivare a Pesaro in Febbraio. Sassari e Virtus fuori portata. Martino con Brindisi si trova a dover fare i conti con l’assenza di Daniel e chiede, trovandola, una super partita di Sims, ma anche un’ottima prestazione di Leunen. Sono due punti che pesano tantissimo e che svuotano di energie fisiche la Fortitudo. Punti che servono! Solo a quel punto Martino parla di derby. Vero, come dice il timoniere biancoblù, che si parla di gara in gara, ma pensiamo che l’intelligente Antimo tentasse, senza riuscirci e senza probabilmente volerlo fare, di ridurre il derby ad una gara come tutte le altre, cosa che in una città come Bologna non può e non sarà mai. Arriva alla partita con la squadra corta e stanca. Sims è il «cugino» fiacco di Henry di tre giorni prima. Aradori resta al pranzo di Natale (la sua stagione non può però essere ridotta nell’aver ciccato la Partita) e il resto della squadra altro non fa se non esattamente quanto fatto in tutte le altre trasferte (non dimentichiamoci i ventelli di Roma e Varese, la partita a due facce di Cremona come esempio) che hanno mostrato una Fortitudo il più delle volte molle fuori dal Paladozza. Sommati gli addendi… il «megafreddo» trova una sua spiegazione.

Passando ai vincitori, all’apice dell’escursione termica che ti porta in un flash dall’Islanda alle Maldive, la Virtus ha fatto perfettamente il suo, preparando la stracittadina per dimostrare quanto può essere forte e devastante.

Djordevic in estate ha allestito una squadra per vincere e per giocare su due fronti ogni tre giorni. Zanetti ha assecondato l’allenatore acquistando un big che da solo fa il budget di metà delle squadre di serie A e spendendo bene anche sul resto della rosa. Solo Milano, in punto, compete. Il primo terzo di campionato è percorso netto e Djordevic arriva a Dicembre beneficiando di un vantaggio di sei punti sulla più immediata inseguitrice ed arrivando anche a +8 sulla vera inseguitrice, l’Olimpia Milano che guarda caso, cade per mano della Fortitudo. Può gestire il mese di Dicembre. Perde in maniera più che anomala a Cremona, dove Teodosic viene allontanato per un qualcosa di allucinante; prende due ceffoni a Sassari dove solo in apparenza si pensa a uno scontro per la leadership perché la Virtus rimane a +2 sugli isolani e con il ritorno a Bologna. E allora trovi minutaggi strani: Weems 13, Gamble 9, Gaines 7, Hunter a riposo, segno tangibile che mister Djordevic (che la sa molto lunga) la testa al derby natalizio la mette, eccome. D’altro canto la società ha fatto un investimento importante su una struttura da 8000 posti per solo 5 partite con il culmine di derby e Olimpia Milano ed è naturale che in quelle partite la squadra debba essere tirata a lucido. Cosa che la Virtus fa sfoderando probabilmente la migliore prestazione dell’anno, all’interno di una media di alto livello, rispetto alla quale ben poco avrebbe potuto una Fortitudo anche ai massimi livelli. Martino sa che l’unico modo per giocarsela con questa Virtus è tra le mura amiche e con la squadra fresca nei suoi elementi di rilievo. E non dovremmo meravigliarci se a Brindisi, al ritorno, la Fortitudo facesse calcare il campo a Dallosto per 20 minuti o a Daniel per 35 e magari anche per una decina a Franco. Segno che la partita a cui si tiene non è quella, ma la successiva.

Un campionato è fatto così. 34 partite che hanno diverse difficoltà e diversa importanza in classifica. Per la Virtus i quattro punti di derby e Milano valgono 6. Se la Fortitudo batte Brindisi, Trieste e Reggio Emilia va alle Final Fight. Se avesse battuto solo la Virtus ne sarebbe rimasta probabilmente fuori.

È brutto viverla da tifosi, soprattutto se il prezzo da pagare è uno sfottò lungo 4 mesi. Ma è certo che ad Aprile le cose saranno diverse ed a una squadra di Fenomeni si opporrà una squadra di Leoni.