La stagione NBA fa pausa per il Ringraziamento, ma ci sono le altre leghe da seguire, con i relativi distinguo.

Eurolega sopra tutte le altre, seguita da Eurocup, poi dalla LNP: tatticamente e parlando di piacere nel veder giocare a basket è infinitamente migliore della Serie A; quindi la Champions League, che è di livello inferiore alla seconda coppa della Eurolega, e infine la nostra Serie A. Episodicamente vedo qualche gara della Liga ACB, che è migliore della nostra ma non è il Paradiso: negli ultimi 3 anni ha perso parte del valore che ci siamo abituati (in generale) e rassegnati (rispetto la Serie A) a tributarle.

Non per merito del campionato italiano, ma per difficoltà di quello spagnolo, evidenziato dalla diaspora dei supercampioni e dalla loro rappresentativa nazionale. Parto dalle ultime convocazioni per la nostra Azzurra, e dall’ultimo roster di competizione internazionale (Euro 2017) della Spagna. Al netto di antipatie/simpatie, tifo/religione, convinzioni/paranoie non è inutile ricordare che da Azzurra mancano 5 dei migliori 7 giocatori, e che i migliori 7 giocatori italiani giocano fuori dai sacri confini. Belinelli e Gallinari in NBA, Datome e Melli al Fenehr, Hackett al CSKA: il quintetto base ideale della nostra rappresentativa; Michele Vitali e Gentile figurano tra i convocati ma giocano in Spagna. Alla nostra Nazionale aggiungo per forza Filloy, Burns, Brooks e Biligha tra i quali solo il lungo della Reyer è nativo italiano: sono 11 giocatori. Il restante può essere scelto tra Dellavalle, Aradori, Luca Vitali, Cusin, Tonut, Candi, Polonara, Cinciarini o chi volete voi, a seconda di quanti lunghi o quanti esterni, quanti talenti o specialisti volete in squadra. Sembra la consueta panoramica da mani nei capelli, acuita dal fatto che, oltre alle solite, ci sono nazionali emergenti che potrebbero schiacciarci con i soli primi tre giocatori del roster: penso a Canada o Australia, formazioni cuscinetto fino a 10 anni or sono. Si tratta anche di un bacino di convocabili non più giovanissimo: il più giovane dei citati è Candi (classe ‘97), Tonut e Dellavalle, che tanti ancora considerano giovani, hanno 25 anni. A questo punto: scatta la lamentela sui settori giovanili, la crociata sul ritorno ai due stranieri, l’urlo di dolore sui veri maestri che non esistono più. Però. Però guardiamo oggettivamente al campionato (ancora) migliore d’Europa e ai suoi problemi: la Liga ACB.

L’ultima nazionale iberica, a livello “logistico”, non era molto diversa dalla nostra. I 2 Gasol, i 2 Hernangomez, Rubio, Abrines: giocano tutti nella NBA, e così Ibaka (che però non si sa se vorrà mai tornare alla Roja) e Calderon, il primo giocatore/(vice)alleantore nella storia moderna della Associazione; El Chacho Rodriguez gioca nel CSKA. La differenza tra Italia e Spagna è puramente il talento, ed è simboleggiata dal fatto che nel CSKA Rodriguez è il titolare e Hackett il suo cambio (nemmeno sempre). Dell’ultima nazionale iberica, tenuto conto dell’infortunio a Llull, solo Vives, Sastre, Oriola e San Emeterio erano impiegati in squadre spagnole, e solo Sastre con inalienabili diritti da titolare. Aggiungete che il solo giovane (ovvero: al massimo 22 anni) spagnolo che gioca in Spagna e ha minutaggio e rendimento da protagonista è Ilimane Diop, che sta quasi per compiere 23 anni, non era convocato in Nazionale maggiore e pur giocando parecchio anche in Eurolega col Baskonia, ne fa una bene e una male.

Quindi la differenza è ancora una volta data dal talento: non si possono obbligare i fenomeni a nascere. Se si contano i giocatori di livello internazionale indigeni con tanti minuti e buon rendimento in campionato, si deve ammettere che in Spagna sono di più, ma non c’è un divario così netto come siamo abituati a considerare; lo stesso vale per l’età media di quei giocatori. In Spagna stanno ancora vivendo delle tre generazioni di fenomeni che si sono concatenate tra fine anni ’80 e anni ’90, ma Rubio ed Abrines hanno già 28 e 26 anni, ed il più giovane è lo Hernangomez Minore, Juanjo: 23 anni. Dietro di loro ci sono alcuni giocatori (Sergi Martinez del Barcellona o Ehigitor di Fuenlabrada), ma sono ancora ipotesi: nessun 19enne è forte come erano loro a quell’età. Il fossato tra Italia e Spagna diventa invece largo e profondo se si considerano soldi per il basket, situazione finanziaria delle squadre e loro gestione: è però un difetto strutturale/amministrativo, un fallo della Federazione Italiana Basket o al limite della Lega, non dei vivai o degli allenatori, non del basket sulle tavole. Per cui, prima di mettersi le mani nei capelli, bisognerebbe considerare come mai i migliori sono in NBA o in Eurolega di vertice, sia per noi Italiani che per gli Spagnoli. Due Leghe divise dal talento (per definizione non pronosticabile), dai soldi e dalla gestione (programmabili entrambi). Si dovrebbe finalmente ammettere (o chiedersi come mai) che il modello delle leghe private, o di quelle lasciate in pace dalla Federazione per non dire supportate e sorvegliate da essa (come in Spagna), caso strano, è molto più efficiente, efficace, meritocratico, organizzato, remunerativo e fruttuoso di quello delle leghe che vengono vessate, ricattate, osteggiate e infine nemmeno sorvegliate dalla Federazione (come in Italia). Dopo ciò, si dovrebbe andare a fare una domanda al Commissioner della NBA Adam Silver, e poi anche a un americano medio qualunque: scusa, che ne dici di metter su un sistema che deve guadagnare per se stesso vessando e periodicamente ricattando i propri membri, e che fa parte di un sistema più ampio, a causa del quale quello organizzato da te dovrà lasciare parte dei propri guadagni in un salvadanaio sempre meno trasparente, che serve fondamentalmente a mantenere le medaglie olimpiche di altri sport, tipo ippica o scherma o tiro con l’arco? Sento già le risate. Le sghignazzate proprio.