Tredici punti alla fine, ma sempre un solco netto, addirittura 21 punti poco dopo l’intervallo (51-30). Per 40 minuti monologo Armani grazie a una schiacciante supremazia della trazione posteriore, nonostante il dominio dei cieli di Otello Hunter, che ha cancellato Samardo Samuels, giocatore di stazza ma di poca tecnica. Per sua fortuna Banchi sta rilanciando Gani Lawal che fa il suo in difesa e in attacco, anche se i lunghi milanesi sono la parte meno produttiva (e più critica) del primo match, 33-39 ai rimbalzi nonostante un Ress introvabile, zero virgola zero in tutto, una scoppiatura fisica o emotiva, vittima anche del gioco frammentario, perché Siena non può vincere col divino cireneo che ha portato la croce della fatica e non era certo il capitano-detonatore delle migliori gare dei playoff.

Curtis Jerrells non sarà un vero play, questo è sicuro, ma nel campionato italiano una guardia che sappia portare avanti la palla e possa avere la potenza di un lanciamissili può essere decisiva per rompere gli equilibri di una gara dove il gioco è stato inferiore alle attese e al valore individuale dei giocatori, forse anche a quello delle squadre anche se non ne sono sicuro.

Si toglie qualche sassolino dalla scarpa il moro del Texas e con una grandinata pazzesca di tiri da 3, 7 su 8, 13 punti, 8 e 5 nei primi tre quarti, totale 26 punti. E’ lui, che la critica aveva messo sulla graticola, l’eroe di questa Milano che dopo 11 gare perse su 12 contro i senesi nelle finali si toglie la pelle di eterna sconfitta e fa bottino per migliori percentuali di tiro e una discreta difesa quando c’è sufficiente concentrazione.

Semplificano dunque il problema in una gara che è più un insieme di highligts, di spezzoni di prestazioni individuali che una bella partita di basket per promuovere il gioco dove la Rai eccede nei commenti a 4 voci, una ridda di informazioni, nozioni scolastiche, che escono da un frullatore impazzito come il continuo zig zag delle telecamere. Questo zelo narrativo, spesso in slang, dove i panchinari son chiamati “ne” (enneè) finisce per frastornare il telespettatore, anche quello più preparato come quello che segue questo gioco in Italia, senza trasmettere emozioni e cercare invece di catturare chi si avvicina alla prima volta approfittando di una finale scudetto. Anzi, per seguire queste telecronache, se non si pensa di depotenziare il parlato, il logos torrenziale per lasciare spazio al gioco e accompagnarlo con commenti incisivi, appropriati, richiesti e non a ruota libera per ritagliarsi uno spazio e mettere la propria firma, sarà meglio acquistare pillole per il mal di mare.

Tornando alla gara, Siena manca del solito impatto emozionale, salta del tutto – confermato dalle cifre – il suo impianto di guardie pensanti, Green e Haynes, lettura del gioco zero. Fra le guardie tiratrici marca visita anche Josh Carter, Viggiano è calato come minutaggio ed è buono se c’è gioco di squadra, non ha tecnica e spinta di un moro, e il migliore è Matt Janning, molto utile in questo playoff, che però sparisce nel finale e anche lui è un terminale, non inventa canestri.

Marchino Crespi ha regalato ai suoi giocatori per andare incontro al paradosso di un fallimento determinato da terzi, un fallimento societario per il club sportivo con più storia del paese, un orologio verde. Forse il messaggio che è l’ora di chiudere la partita con la storia con l’ennesima impresa, ma non si va lontano senza pazienza, umiltà, lettura della difesa milanese che è graffiante all’inizio. E senza la carica di capitan Ress è dura, anche se Otello Hunter è meraviglioso ma pur sempre troppo solo nonostante esca nel finale anche Nelson a dargli una mano.

Un manuale di basket, il signore degli anelli di Siena: tampona da solo le falle quando segna praticamente da solo nel terzo tempo quello che mostra la vulnerabilità di Milano, squadra muscolare senza Hackett in regia: con 10 rimbalzi e 19 punti, una continuità da centro vero, Otello è il migliore della gara, mentre dall’altra parte Jerrells è il match winner. E quando nell’ultimo quarto Banchi utilizza Hackett in regia Jarrell non si vede più, esce però Gentile per un buon finale, e non è facile realizzare che il problema del coach di Milano è l’alchimia fra i suoi tre mancini. Tre atipici che devono ogni volta capirsi e capire di ciò che la squadra ha bisogno.

L’esplosione di Jerrells, uno degli enigmi di questa squadra per mesi, e una marcatura psicologica di Marques Haynes, il suo ex oggetto misterioso mandato a Siena per Hackett, una svolta anche nella storia dei rapporti fra le due società che ha aperto a Minucci le porte alla presidenza di Lega poi chiuse bruscamente dalla Procura (di Siena, non del basket…). Quell’Haynes ripudiato da Armani e che ha trovato la sua dimensione portando la Mens Sana e essere la miglior squadra della finale di stagione nella serie con Roma, a parte Jerrell e Laval, nessuna novità vera di casa Armani con Melli ancora scolastico, Langford, Moss, Gentile a sprazzi, Hackett in fase di recupero per uno stiramento agli addominali, ma alla fine ha fatto la differenza l’abbondanza conquistata con mosse di mercato, un budget di 5-6 volte più alto di quello di Siena, e che se non altro riesce a dare frutti in partite come queste, di sintesi. Non a caso, ripetiamo il concetto, i più continui sono due uomini che hanno trascorso molti minuti in panchina.

Continuano, i soloni, a trasmetterci tramite l’etere false informazioni di natura tecnica, come quella che la virtù della squadra di Crespi sarebbe la lettura del gioco, il che è opinabile. Ad esempio Green è un giocatore di grandi mezzi, ma se avesse il bagaglio dei giovani play della NBA quelli che a 20 anni, come gli Irving, decidono le partite fra giganti alti e titolati, non sarebbe a Siena. E’ un giocatore molto cresciuto, che sa puntare al canestro, ma non possiede l’inventiva di quei piccoli maledetti ragni neri, il tiro in caduta, l’arresto e tiro, il funambolismo di quei ragazzini che fanno impazzire le difese e le folle, e nemmeno mostra un assist tranciante.

Gli è comunque che Siena, se regge ai rimbalzi, e con un Otello Hunter di questa portata nei prossimi incontri, può battere Milano, ma a patto di non sbagliare 18 tiri su 19 da tre punti. Perché lo dicono le cifre, non lo dico io, Siena è la squadra del tiro da 3 punti, e quando va sopra il 45 per cento, e ci va spesso, può battere chiunque. E deve però avere però un Marquez Haynes più dentro il gioco di quello milanese, aiutato poco dai compagni e dal bravissimo coach che sa fare anche autocritica, a differenza di certi colleghi.

Comunque, pur con tanta abbondanza e tante defezioni fra le fila dei rivali Siena ha tamponato un passivo pesante, gara2 sarà la svolta per Siena che va contro il fattore campo e non può permettersi di giocare a sprazzi, con poca testa e pazienza, per smontare il mosaico di individualità che possono anche bastare per uno scudetto atteso da 18 anni, a meno di peccare negli… individualismi. Ma dopo le mancate occasioni di questa stagione in Coppa Italia ed Euroleague penso ci sia sufficiente umiltà per capire che basta non perdere la testa per conquistare questo scudetto, grazie al fattore campo e la lunga attesa del suo popolo che sconta un digiuno lunghissimo, stile Inter morattiana. Poi la squadra del prossimo anno, panchina compresa, dovrà avere altri equilibri per diventare protagonista di un ciclo internazionale, a meno di accontentarsi di essere la Siena della situazione nel dopo-Siena, dominare in Italia e considerare tutti gli altri come sudditi.

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